Fra le tante burle escogitate dagli alunni per provocare una vacanza speciale, spicca quella escogitata da un alunno di diciassette anni di Cave nella sezione locale dell'Istituto tecnico commerciale. Una burla i cui effetti si prolungarono per oltre una settimana, andando ben oltre le previsioni dell'autore.
Il ragazzo avrebbe voluto semplicemente evitare una giornata d'interrogazioni pesanti, ma il suo fu un gesto praticamente firmato, in quanto si poté immediatamente risalire alla fonte della furbata: un pugno di bigattini, cioè di vermi usati come esche per la pesca in un allevamento di trote, l'unico del paese, di proprietà del padre di quel ragazzo, membro di una famiglia molto nota e agiata.
Il ragazzo si limitò a depositare, il giorno prima verso l'ora di uscita, una scatola piena di questi bigattini nascosta in un angolo del bagno.
La mattina dopo, alle sette e trenta, i bidelli addetti alle pulizie, nell'aprire la scuola, trovarono i corridoi e le aule piene di quegli animaletti striscianti e arrampicatisi un po' dappettutto. Uno spettacolo squallido e repellente, tanto da costringere il preside, subito accorso sul luogo del delitto, a tenere chiusa la scuola.
Nei giorni successivi, la scena fu ancora più orrenda, perché i bigattini non solo si erano sparsi e moltiplicati dappertutto, al punto da essere schiacciati sotto i piedi, ma al terzo giorno si erano trasformati in mosconi ancora più schifosi, che si abbattevano in picchiata contro i vetri di tutti i finestroni della scuola.
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