Ma Pinocchio non tornò. Non subito, almeno: aveva da vivere ancora alcuni anni di avventura. La povera Rosetta lo aveva capito, e pianse amaramente, perché si era molto affezionata a quel Pinocchio che gli era sembrato un bambino davvero bravo. E anche il pastore Adelmo aveva creduto che Pinocchio sarebbe rimasto parecchio tempo con lui, e provò un'amara delusione.
Intanto il volo di Pinocchio continuava con il favore del vento. Ben presto apparve la costa toscana da dove era partito qualche mese prima: riconosceva il bosco, il paese, la casa di Geppetto, la villa della Fata Turchina. Ma il vento continuava a soffiare, e Pinocchio non riusciva a fermare il volo del suo deltaplano.
Comparvero le prime montagne. Poi altre ancora più alte. Cominciava a fare buio, era quasi arrivata la notte. Il volo s'interruppe bruscamente tra i primi rami di una fitta boscaglia. Pinocchio si era fatto male sbattendo con una spalla contro il grande tronco di una quercia. Afferrandosi ai rami successivi, riuscì a scendere a terra tirando faticosamente la stoffa del deltaplano che si era squarciata.
Se ne liberò. Così pure lasciò le manopole e le pedivelle. Era solo in mezzo a un grande bosco, non sapeva neppure dove. Certamente molto lontano da casa.
Cominciava anche a fare freddo, perché non era ancora estate piena. Il cielo era coperto da fitti nuvoloni, da quanto riusciva a vedere tra la folta boscaglia. Sentiva un cane che latrava molto lontano. O forse era un lupo? Pinocchio cominciava ad avere paura. Tornò indietro a riprendere la stoffa del deltaplano: sarebbe servita almeno come coperta.
Quel latrato - o ululato? -ogni tanto riprendeva e lo faceva pregare. - O babbo Geppetto, dove sei? O fatina dai capelli turchini, lo so che tu non mi abbandoni: vienimi a salvare ancora una volta -
Piano piano si addormentò, rannicchiato ai piedi di un grande abete.
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