La cultura dominante oscilla tra il considerare la vita come un segmento di tempo sospeso tra due nulla e il considerare la morte come un "incidente di percorso" che - come tale - si può e si deve correggere. Talora la scienza, nel suo delirio di onnipotenza, tenta di convincerci che eliminerà la morte. Da qui l'ossesione di conservare la giovinezza del corpo, che spesso è inversamente proporzionale alla cura della giovinezza dello spirito.
Noi, uomini del terzo millennio, rimuoviamo il fatto di essere creature finite e ci troviamo sprovveduti di fronte al dolore della malattia e della morte. Invece la vita ci offre innumerevoli prove che la parola dolore non è sinonimo di infelicità quando il dolore, anche pesantissimo, è abbracciato dall'amore.
(da un articolo di Angelo Scola, arcivescovo di Milano)
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