Partiti piano piano all'inizio della loro avventura biancoceleste, accolti con scetticismo e con critiche scoraggianti da parte di certa stampa, l'uno un terzino sinistro che gioca di destro e va spesso a vuoto, l'altro un mediocre pedalatore che non sa toccare decentemente il pallone: chi non ricorda certi giudizi? Senad e Alvaro hanno dovuto fare una lunga anticamera prima di convincere l'allenatore e prima di conquistare un posto stabile nella formazione.
Quando Reja ha avuto bisogno di tappare un buco apertosi all'improvviso, ecco questi due ragazzi semplici e generosi dire di sì, di essere disposti e pronti ad assumersi un compito non loro. Usciti Brocchi e Mauri, ecco Lulic trovare inaspettatamente un ruolo a centrocampo, e sostenerlo in modo gagliardo fino al punto di rendersi inamovibile e di attirare l'attenzione di uno squadrone come la Juventus.
E Gonzalez? Qualunque posizione andava bene, per lui: sempre pronto a macinare chilometri, a entrare sulla palla da destra e da sinistra, giocando di rottura (benissimo) e anche di costruzione, seppure non a livelli sopraffini. Ha un gioco così plasmabile, basato sull'irruenza fisica, da poter fare davvero anche il terzino, e alla fine Reja ha capito che, con la moria di esterni difensivi che c'è da tempo alla Lazio, Gonzalez può giocare benissimo anche lì, e lo farà, se necessario, contro il Bologna di Di Vaio cavando le castagne dal fuoco al buon zio Edy.
La storia di questi due ragazzi spiega come la Lazio, assai meno quotata di tanti squadroni, riesca a veleggiare in classifica così in alto, dimostrando che l'umiltà, la forza dei polmoni e del cuore, la dedizione ai propri colori valgano spesso più di altre
qualità meno dispendiose e più legate alla fortuna.
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