Che brutto ricordo, quel Natale del 1942. Faceva un freddo intenso, e il grande camino della cucina non bastava certo a riscaldare tutta la casa. Inoltre, se la fiamma era troppo alta, non era certo consigliabile avvicinarsi per scaldarsi le mani e i piedi, perché il calore era insopportabile.
Come valido supplemento avevamo il focone, cioè un braciere di rame circondato da una pedana rotonda sulla quale appoggiare i piedi. Bisognava sempre rimuovere la brace per tenerla accesa, scansando la cenere che si veniva a creare.
Una sera particolarmente fredda, io, bambino di otto anni, stavo vicino a mia madre con i piedi sulla pedana del focone. Lei ogni tanto ravvivava la brace con una molla di ferro. A un tratto, però, la molla rovente scattò dalle mani di mia madre e s'infilò tra il polpaccio e il ginocchio della mia gamba sinistra.
Io cacciai un urlo disumano. Mia madre mi sollevò dal focone e mi guardò la gamba: una orribile scottatura la deturpava. Ancora oggi mi rimane una vistosa cicatrice e l'impronta precisa lasciata dalla molla.
Mia madre intervenne come poté. Non c'erano certo i rimedi, le pomate e i controlli in ospedale che potremmo avere oggi. C'erano rimedi empirici, che qualche donna versata sull'argomento aveva sempre pronti. Ricordo che guarii da quella orribile ferita a furia d'impacchi a base di semola, rinfrescati da foglie di cavolo. Ci vollero tutte le vacanze di Natale, e anche qualche giorno di più, per venirne a capo.
Qui scattò la solidarietà di gruppo di tutti i miei amici. Io stavo a letto con la gamba fasciata, e loro non mi abbandonarono un momento. Si può dire che trascorsero i quindici giorni di vacanza insieme a me, giocando nella mia cameretta, inventandosi tutti i più fantasiosi passatempi.
I più assidui erano Santino, Luigino e Carlo, il figlio del podestà, mio compagno di banco a scuola. Giocavano anche trascinandosi carponi sotto il mio letto. La mistura d'impacchi caldi di semola e di foglie di cavolo emanava un gran brutto odore: per loro fu una scoperta tutto sommato divertente, e venne inserita come un 'ulteriore avventura nella mappa del tesoro dei loro giochi.
Ridevano e cercavano di tenere di buon umore anche me. Come Dio volle, la ferita si richiuse, guarì quasi completamente, e così alla fine delle vacanze, il 7 gennaio, potei rientrare a scuola insieme a loro,che mi accompagnarono tutti contenti per aver recuperato la mia compagnia.
Piccole cose che non si dimenticano per tutta una vita. E poi, anche a volerle dimenticare: ma come si fa, con quella cicatrice di grandi dimensioni rimasta stampata sulla parte posteriore della mia gamba sinistra, una specie di fotografia vivente della mia disavventura di quasi settanta anni fa? (continua).
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