Ribelle e impulsivo: due brutte qualità del mio carattere, di cui devo scontare continuamente le conseguenze.
Cominciò presto, la mia carriera: a tre anni già aveva lasciato il segno. Stavamo in cucina, mia madre affaccendata nel suo duro compito di genitrice di troppi figli.
C'era una gran corrente, perché la porta del balcone corrispondeva frontalmente a quella d'ingresso.
Si sentì bussare piano piano a questa porta: io andai ad aprire, e c'era una bambina povera che chiedeva del pane. Mia madre disse: -Mafalda, di pane non ne abbiamo più. E' fine settimana e debbo ancora farlo. -
Però Mafalda aveva fame e insisteva. Anche loro erano una famiglia numerosa, ma il padre non viveva con loro e non ce la facevano a sbarcare il lunario.
Io ascoltavo il lamento insistente di Mafalda e la risposta, ripetuta ogni volta, di mia madre. Allora persi la pazienza e andai a chiudere con un po' di nervosismo quella porta. Ma c'era il vento, e la porta, che aveva un certo spessore e margini taglienti, m'imprigionò l'ultima falange dell'anulare della mano destra, tagliandolo di netto.
Mafalda fuggì terrorizzata, mia madre prese a urlare, piena di disperazione, io a mia volta piangevo disperato.
Da Acuto mi portarono all'ospedale di Anagni, e un chirurgo ricucì con molta pazienza i margini della ferita, mentre io, per il dolore, prendevo a calci il piccolo tavolo rotondo sul quale veniva effettuato l'intervento.
Stranamente, ricordo che per calmarmi mi diedero una caramella rotonda avvolta in un cellophane trasparente di colore rosso. Dettaglio incancellabile nella mia memoria. Incancellabile come il rimorso di aver chiuso con cattiveria la porta in faccia alla povera Mafalda, la quale mi perdonò, e anzi, ogni volta che mi incontrava, sembrava volersi scusare per avermi involontariamente procurato quella piccola ma significativa menomazione.
Da piccolo, come si può constatare, non devo essere stato un bambino tanto tranquillo, malgrado le apparenze. Sì, ero calmo; quasi sempre, almeno:tanto è vero che mio fratello appena un po' più grande di me, con i suoi tre anni di vantaggio, mi aveva dato l'appellativo di "placido": Luigi placido. In realtà in paese esisteva un altro Luigi Placido, coetaneo di mio fratello, e così il nomignolo mi era stato girato, e sembrava calzarmi a pennello.
Invece, anch'io avevo le mie impuntature e facevo i miei capricci, qualcuno davvero tremendo ( continua ).
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