domenica 25 aprile 2010

La scoperta in soffitta - I miei ricordi - 37

La soffitta di casa era un piccolo regno meraviglioso. Ci si trovava di tutto. Soprammobili in disuso. Ninnoli . Scatoloni colmi di riviste e giornali vecchi. Qualche libro sbrindellato. Qualche gioco scartato. Una scaletta malandata. Due enormi casse piene di carbone per accendere i fornelli in cucina.
In soffitta si saliva dal balcone della cameretta da letto dei bambini, e quindi era doppiamente invitante perché autonoma. Potevamo accedervi con tutto agio varcando una porta con un catenaccio esterno alla nostra portata. Poi, una rampa di scale comodissima.
La soffitta era sottotetto, e il tetto spioveva fino a raggiungere il pavimento dal lato sinistro. Spostando leggermente una o due tegole, per poi risistemarle in fretta, si poteva perfino assistere a una visione miracolosa sui tetti di Acuto degradanti verso la vallata, chiusa dalla boscosa montagna di Porciano ad est, ma spalancata sui Monti Lepini e sui Castelli Romani. Avendo un occhio particolarmente acuto, si potevano anche distinguere le estreme periferie di Roma Tuscolano, e due brevi scorci di azzurrissimo mare dove i Castelli si interrompevano.
Era proprio il regno delle meraviglie, quella soffitta. Le rondini venivano ancora a fare il loro nido sotto i tetti, indisturbate.
Io passavo delle ore rovistando e curiosando. Una volta feci una scoperta insolita: un fascicolo battuto a macchina, che altro non era se non un copione teatrale. Vi si parlava di una certa Ifigenia, non ricordo più se in Aulide o in Tauride. Per me, comunque, era indifferente: mi piaceva leggere tutto, anche se avevo nove anni, e mi immersi nella lettura.
Il testo non doveva essere proprio quello di Euripide: anziché lasciarsi tagliare il collo per salvare la flotta greca diretta a Troia, le imprese che l'eroina compiva non erano proprio di alto valore morale. Era infatti una satira di tipo goliardico, piuttosto audace e ridanciana, dai toni boccacceschi. Mio fratello maggiore, Vito, che aveva venti anni e frequentava la facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza, appassionato di teatro, era entrato nella compagnia teatrale dell'università, e aveva nascosto il testo in soffitta per non farlo cadere in mano a qualcuno.
Purtroppo mi colse proprio mentre stavo leggendo avidamente quei fogli, senza capirci un gran che. Non capii nemmeno perché me li avesse tolti di mano, sgridandomi con una certa rudezza.
Vito era amico della mia giovane maestra Concetta, e sicuramente le riferì l'accaduto. Infatti qualche tempo dopo, sbirciando il giudizio che la maestra stava facendo sul conto di ogni alunno nelle pagine del suo registro, distinsi queste parole riferite a me: "Gli piace moltissimo leggere. Legge di tutto, anche quello che non dovrebbe."
Che cosa voleva dire? Parlava forse di qualche romanzo audace? Ma se ripenso a Ifigenia e a quello che combinava nel famoso dattiloscritto, il mistero si dirada. No, le avventure di quella eroina, figlia di Agamennone e di Clitennestra, non avrei proprio dovuto leggerle (continua ).


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