Una figura caratteristica del mio paese, Acuto, era un altro Tore, oltre a quello che si portò il Bambinello del presepe a casa per ristorarlo con le sue lasagne.
Quest'altro Tore si guadagnava da vivere andando per prati e boschi, raccogliendo fragole e more, castagne e asparagi, che vendeva lungo le strade del paese con un suo cesto sempre pieno di frutti stagionali, includenti anche le fusaglie, le caldarroste e le verdure di un suo orticello fuori paese, tra le rocce della Portella, un rudimentale pertugio nell'antica cinta muraria.
Di età indefinibile, dai trenta ai quaranta, con un berretto consunto sui capelli rossicci, era amico di tutte le donne che lo chiamavano dalle finestre per comprare a pochi centesimi le sue leccornie. Scapolo per necessità, però non rifuggiva dalle conversazioni anche un po' maliziose delle ragazze, che gli dicevano: -Tore, tu che lavori tanto, perché non ti fai una donna?-
Tore si schermiva: - Io sono serio, io le cose brutte non le faccio ! - E andava avanti tranquillo con la sua piccola filosofia. - Si rifà notte e si rifà giorno: il mondo è sempre uguale. Tutte le stagioni portano i loro frutti. Io tiro avanti bene così -
Aveva qualche parente lontano, una vecchia zia che pensava forse ai suoi bisogni più impellenti: una camicia seminuova, un paio di pantaloni non troppo usati. Non aveva grandi esigenze, Tore: anzi, piccole piccole, e non si può dire se fosse felice o infelice.
Mia sorella Isola, la più grande, che fungeva un po' da spalla di mia madre nello svezzare tanti fratelli, ogni tanto chiamava Tore dalla finestra, quando lui passava con le sue fusaglie e le sue more. Le vendeva a bicchiere: quattro soldi ogni bicchiere, con una lira potevi avere cinque bicchieri di more.
Isola le lavava, le metteva nell'acqua gelida per rinfrescarle, poi le spolverava con un po' di zucchero, e per noi bambini, in tempo di guerra, quella era una vera delizia.
I bambini un po' discoli si divertivano a prendere in giro Tore, e lui qualche volta si arrabbiava, ma il più delle volte stava allo scherzo e gradiva scambiare qualche battuta allegra e pungente.
Il mestiere di Tore non conosceva pause: ogni stagione, come diceva lui, aveva la sua frutta e le sue verdure. Poche, da portare dentro a quel canestro che lo accompagnava sempre e che gli dava da vivere.
Quando tornavamo ad Acuto, in estate, Tore era sempre lì, ancora dopo tanti anni, inconfondibile con la sua coppola, il suo immancabile cesto, i suoi capelli rossi che però gradualmente ingiallivano.
Poi scomparve. Forse lo misero in un ospizio. Chissà quanti anni aveva? E con lui scomparve una figura veramente caratteristica del paese. Figure così, il progresso le ha cancellate, portandosi via un po' di miseria, una manciata di more, e forse un pizzico di malinconica poesia ( continua ).
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