Appena usciti dalla guerra, nello stesso giugno del 1944, quando da Firenze in su ancora si combatteva, da noi riprese un fervore di vita incredibile, anche se l'economia era a zero e la miseria continuava ad essere una realtà con cui fare i conti tutti i giorni.
Ma i conti col passato erano in sospeso, bisognava riallacciare i rapporti con le regole, la vita improvvisata giorno per giorno non piaceva più a nessuno.
Le prime a riprendere furono le scuole. Io non avevo frequentato la quinta elementare perché l'anno scolastico era saltato, tra l'armistizio, la lenta avanzata degli alleati e la liberazione.
A giugno volli dare ugualmente gli esami di ammissione alla scuola media, e per questo dovetti andare a Roma a sostenerli al Collegio Nazareno al Tritone.
Mi ospitò, per quel periodo, la zia Agnese, quella di Via Merulana. Da qui al Nazareno, c'era almeno un chilometro di strada: Santa Maria Maggiore, la discesa di via Panisperna, via Milano, la traversata di via Nazionale, poi il Traforo sotto il Quirinale, e finalmente il Tritone.
All'andata, il primo giorno degli esami, mi accompagnò mio fratello maggiore, che lavorava già a Roma e viveva con la stessa zia Agnese, la quale aveva una casa piuttosto grande al quinto piano di un caseggiato umbertino dai soffitti altissimi e con enormi finestroni sulla grande arteria che va da Santa Maria Maggiore a San Giovanni, poco più giù del Cinema Brancaccio.
Gli esami, comunque, vennero spostati di un giorno, e così io, dieci anni non ancora compiuti, mi ritrovai solo, col problema di tornare a casa a piedi. Mezzi diretti non ce n'erano, il filobus numero 71 ancora non riprendeva servizio, gli alleati erano entrati a Roma non più di dieci giorni prima.
Io non mi persi di coraggio. Mi sembrava di aver memorizzato bene la strada.
Andò tutto bene fino al Messaggero. Poi commisi l'errore di proseguire dritto verso via Veneto. Però mi resi conto, dopo un po', di non aver ritrovato il Traforo. Allora con calma tornai indietro, finchè con un sospiro di sollievo non vidi l'imboccatura del tunnel. Tutto si era risolto bene. Allora il Traforo, con le sue bianchissime mattonelle appena rimesse a nuovo e un traffico in pratica inesistente, era comodamente percorribile. Oggi è l'imboccatura dell'inferno.
Con i libri sotto il braccio, fischiettando come Pinocchio che non si era ancora imbattuto nel teatro dei burattini, sbucai finalmente in via Merulana. Mia zia era stata avvertita per telefono del rinvio degli esami, e si era già messa in allarme.
Quando mi vide sbucare, tutto solo - raccontava poi in tono epico - dalla sua altissima finestra al quinto piano, al di sopra dei maestosi platani, mi riconobbe dalla camicia che indossavo, verde scuro a quadretti ( sono particolari che rimangono fissi nella mente ),e ringraziò Dio. Avrei potuto benissimo smarrirmi nella grande città, io, piccolo bambino di paese.
Quella fu la mia prima avventura romana.
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