martedì 13 aprile 2010

I prati di Acuto - I miei ricordi -30

Un altro nostro divertimento, per niente scevro di pericoli, aveva come scenario i prati in forte discesa che, dalla via che conduce al cimitero, finivano in fondo alla vallata prospiciente la piazza del mercato.
Erano prati sempre verdi, sia d'estate che d'inverno, assolati e compatti, dove di solito pascolava qualche gruppetto di mucche. Noi ci allungavamo sul terreno all'inizio della pendenza, e ci rotolavamo giù, per un centinaio di metri, provando l'ebbrezza della discesa, incuranti di qualche sasso sporgente o della possibilità d'incontrare qualche "regalo" delle mucche, più o meno essiccato.
Del resto, sui prati del tutto fuori vista sottostanti il camposanto, dall'altro versante del monte chiamato Calvario a somiglianza di quello di Gerusalemme, per un certo periodo invalse la moda, da parte di ragazzi e ragazze molto più grandi di noi, di prendere veri e propri bagni di sole. Questi erano tra i pochi divertimenti che il paese di Acuto offriva.
Un po' più grandicelli, venne di moda il gioco della palla. Ma per comprare un vero e proprio pallone soldi non ce n'erano: allora facevamo una palla di carta di giornale, legandola fitta fitta con degli elastici, e ci sfogavamo a prenderla a calci, ingaggiando vere e proprie partite, nel terreno del giardino sottostante la piazza principale, che una volta era stato una specie di laghetto ("volubro") prosciugatosi col tempo.
Il campo era piuttosto pianeggiante e regolare, ricavato alla meglio fra grosse piante di pino e alberi di acacia, che in estate emanavano un profumo intenso, quasi da lasciarti stordito.
Poi quel terreno fu riservato al mercato del martedì, e vi sorsero alcune delle case popolari, sicché ne venne fuori una piazza. Il campo sportivo venne spostato fuori del paese, nella frazione di Casanova, ma era piuttosto sassoso e in parte anche in pendìo, sicché la squadra che giocava nella parte in discesa doveva compiere uno sforzo enorme per giungere sotto l'altra porta e potervi fare un gol.
Però, poiché i tempi delle partite di calcio sono due, nella ripresa i ruoli si invertivano, e di solito chi vinceva doveva dimostrare di essere davvero il più forte.
Su questo campo, per un certo periodo, giocavamo dalla mattina alla sera, per ore e ore, senza fermarci mai, incuranti dei tanti incidenti di gioco, con i primi pesantissimi palloni di cuoio e con scarpe da gioco rudimentali, che ci riducevano i piedi in condizioni pietose.
Poi, piano piano, la passione venne sbollendo, anche perché ormai era sopraggiunta la stagione delle prime cottarelle amorose.
Quella del pallone, comunque, era stata per me una vera e propria scoperta: dai quattordici anni in su, si accomunò al tifo per la Lazio, e gradualmente all'aspirazione a diventare giornalista sportivo. Fu la cosa che provai non appena misi piede a Roma, a diciotto anni (continua).

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