Quando giocavamo a palla a piazza San Nicola, c'era sempre il pericolo che, colpita troppo forte, scavalcasse il muro che recingeva la parte marginale: un muro oltre il quale, rimbalzando di tetto in tetto, di terrazzo in terrazzo, andava a finire giù in fondo, nell'ampio giardino della signora Silvia.
La signora Silvia era una donna piccola e vivace, coi capelli brizzolati e ricci, ed era la mamma di un nostro compagno di brigata, Luigino. Mite di carattere e sempre disponibile, certamente anche per la familiarità che avevamo con lei, ci lasciava entrare con un certo limite di discrezione nel suo giardino per recuperare quella benedetta palla.
Per noi bambini, quel giardino era una specie di regno delle meraviglie, con fiori, aiuole, vialetti odorosi di mirto e di bussolo, piccole vaschette con pesci variopinti e fontanelle zampillanti. Ma forse sto un po' mitizzando.
Intanto, anche il giardino era limitato da un muro prospiciente la vallata di Anagni: il nostro paese, Acuto, è costruito proprio al vertice di un monte, e quindi è tutto un ripido degradare verso la valle che è posta cinquecento metri al disotto.
Delle volte la palla ( o il pallone, in tempi successivi ) riusciva a scavalcare anche il muro del giardino, e si perdeva irrimediabilmente nel fondo valle.
Ma il più delle volte il salvataggio della palla era assicurato dall'ampio spazio ricavato dai vialetti e dalle aiuole del giardino di Silvia. Solo che raggiungerlo era tutt'altro che facile, e richiedeva parecchio tempo: per i giocatori di calcetto, si prospettava sempre una pausa prolungata e noiosa.
Il bambino incaricato del recupero era di solito colui che aveva commesso l'errore di calciare oltre il muretto di San Nicola. Quindi, presto o tardi, toccava a ciascuno di noi partire per una specie di avventura.
C'era un a scorciatoia, veramente, ma era in pratica tabù: scavalcare il cancello di un altro giardino, quello della signora Marietta, la moglie di Lello il farmacista, giardino contiguo a quello della signora Silvia, scavalcabile agevolmente superando un basso muretto. Ma la signora Marietta, al contrario di Silvia, aveva un carattere assai meno mansueto e noi ne avevamo un vero terrore, sicché quasi nessuno osava penetrare nel suo "regno".
Era giocoforza compiere un lungo giro: passare per via Vittorio Emanuele, scendere la lunghissima scalinata del vicolo Gaudente, entrare nel portone di Silvia, sempre aperto, passare per un androne quasi oscuro, varcare un'altra porta laterale, e dopo un lungo giro si poteva finalmente uscire alla luce del giardino. Se tutto andava bene, dopo vari girigori per le aiuole e i vialetti, si poteva finalmente recuperare la desideratissima palla e ripercorrere quasi sempre senza intoppi il viaggio di ritorno.
Ogni recupero di palla necessitava di almeno un quarto d'ora, giusto l'intervallo fra un tempo e l'altro. Perciò si poteva commettere il grave peccato di perdere la palla non più di una volta a partita. E il peccatore veniva guardato da tutti con occhi torvi, e doveva scontare quella giusta penitenza.
Ora i giardini misteriosi sono quasi tutti scomparsi, per dar vita al tragitto di una più pratica via di circonvallazione (continua).
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