Io, professore d'italiano, quando spiegavo una lezione, o più spesso quando rivolgevo un rimprovero alla classe, per movimentare un po' la scena facevo ogni tanto uso d'interlocuzioni in qualche lingua straniera, oppure in latino o addirittura in greco. Un gusto particolare avevo per le etimologie: mi sembrava che, spiegando l'origine di una parola, gli alunni potessero impadronirsene meglio e farla propria, che è poi il vero fine della conoscenza di ogni lingua.
Per esempio, se incontravo la parola "archeologia", facevo in modo di spiegare che derivava dal greco "archè", antico, e "logos", discorso, dunque, letteralmente, "discorso sulle cose antiche". Se incontravamo la parola "filosofia", spiegavo premurosamente le sue origini: "filèo", io amo, "sophia", sapienza. "Io amo la sapienza", amore per la sapienza.
E così via. E' del resto la prima tappa che incontriamo quando apriamo un vocabolario. Le origini latine o greche o germaniche o arabe di una parola hanno qualcosa di misterioso e di affascinante, che rimane impresso nella mente degli alunni.
Quanto alle lingue moderne, era per me un bel gioco quello di far ricorso a qualche espressione straniera particolarmente attraente: il francese e lo spagnolo, che conoscevo bene per aver studiato lungamente la loro grammatica e letteratura, e l'inglese o il tedesco, da cui derivano molte parole rispettivamente moderne o medioevali nel caso del germanico.
Ricordo che una volta, rimproverando una quinta classe per il suo scarso impegno in vista degli esami dimaturità, per far risaltare meglio il mio pensiero me ne uscii con questa battuta: "No intiendo presentare agli esami profili edulcorati, che non rispondono alla vostra reale personalità".
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