Incontrai quella studentessa un mese dopo l'esame, durante le vacanze di agosto, in piena villeggiatura, e mi confessò che era rimasta profondamente delusa dall'esito dell'esame: aveva avuto un semplice 42, nettamente inferiore alla sua quotazione e al suo valore effettivo, e mi raccontò alcuni particolari davvero sconvolgenti del suo esame.
Tutto era andato bene, sia gli scritti che il colloquio, terminato proprio con la prova di ragioneria. La ragazza se ne stava andando completamente soddisfatta, quando si sente richiamare proprio dal suo rappresentante di classe, che, con il pretesto di darle l'opportunità di un brillante approfondimento, le chiede un ulteriore argomento, scelto di proposito fra quelli in cui durante l'anno si era creato contrasto tra insegnante ed alunni. Naturalmente la candidata era stata costretta a una magra figura, che le era costata una vera e propria umiliazione, conclusasi con un gran pianto.
Era stato gioco facile, per l'insegnante, condizionare profondamente il giudizio della prova complessiva, di fronte a un presidente di commissione ignaro di quella materia, mentre il commissario specifico era stato facilmente convinto dell'arroganza e dell'ignoranza dell'alunna, che aveva lasciato sul campo la parte migliore della sua valutazione.
Dopo un mese, l'alunna in questione non era ancora riuscita ad assorbire la profonda delusione, anche perché molti dei compagni ai quali lei aveva insegnato ragioneria negli ultimi tempi della preparazione, avevano ottenuto un voto nettamente migliore del suo. Casi della vita. Del resto gli esami, anche quelli facili facili come l'ultima maturità, restano sempre una lotteria, nella quale però il rappresentante di classe può avere un ruolo determinante, nel bene e nel male. In quel caso specifico fu vendetta, tremenda vendetta, e ampiamente preannunciata.
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