In occasione di un colloquio con le famiglie organizzato nel pomeriggio, fu scelta così la stessa aula di ricevimento per me e per la collega in parola, e durante una pausa del ricevimento, in cui eravamo rimasti soli, un bidello in combutta con quel tale collega chiamò il vicepreside, che accorse prontamente, e...trovò che io e la collega stavamo chiacchierando amichevolmente.
Incredibile! Il vicepreside mi guardò come si può guardare un lebbroso, uscendosene con parole di sbigottita indignazione: "Siamo tutti uguali!" E da quel momento continuò a giudicarmi con disprezzo e malafede, mentre io ero perfettamente innocente ed ingenuo nella mia amicizia.
Siccome tra vicepreside, preside, collega disimpegnato e bidello maligno correva buon sangue, e tra questo quartetto e me correvano invece cattivi rapporti, di fronte a questa evidente architettazione non potei pensare se non quello che stavo pensando, cioè a una trappola organizzata con malizia allo scopo di dimostrare che neanche io ero innocente per quel che si riferisce a rapporti di amicizia con l'altro sesso, così come il collega, che era pubblicamente accusato di aver stretto una relazione affettuosa con una giovane alunna quattordicenne. Una storiella che ricorda quella di Ruby?
Il vicepreside, che io consideravo un emissario della presidenza con funzioni di controllo verso colleghi esclusi dal raggio di azione "governativa", non aveva fatto altro che desiderare, per tutto l'anno, di prendermi in castagna, cioè di colpevolizzarmi di qualcosa che non gli era mai riuscito di addebitarmi per mettermi in cattiva luce. Dopo lunghissimi anni di carriera ammirevole per impegno e correttezza, finalmente qualcuno era riuscito a insinuare dei dubbi e delle accuse nei miei confronti. Ma la verità, tutti lo sanno, finisce per venire a galla, e nessuno diede retta a quella chiacchiera stupida e malevola.
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