Così, spesso ho dovuto assistere a rimostranze postume, di gente che si aspettava il sessanta senza considerare che fosse più o meno meritato.
Una signora, amica intima di una mia sorella, dopo avermi raccomdandato caldamente il proprio figlio alla vigilia di un esame di maturità in cui ero presidente, come unico commento mi face comprendere, anche in forma scorretta e antipatica, che il ragazzo aveva avuto esattamente quel che si era meritato, neanche un punticino in più. Nessuno, nemmeno se favorito da un po' di fortuna, mi ha mai ringraziato al termine di un esame per aver interposto i miei uffici a beneficio del raccomandato.
In certe scuole private, viceversa, le commissioni debbono fare i salti mortali per trovare un sistema capace di salvare più capre e cavoli possibile, evitando stragi generali. Negli ultimi tempi, a furia di donare e condonare, si era giunti al criterio di promuovere, garantendo il 36, cioè il voto minimo, soltanto se il candidato aveva riportato un voto di sufficienza in una delle quattro prove oggetto dell'esame, due scritte e due orali, oppure fosse stato presentato dai suoi insegnanti con una media di piena sufficienza.
Ho assistito a capolavori di autentico equilibrismo, per cui quella unica sufficienza veniva tesa come un elastico, arrivando alla mediocrità come metro di valutazione per salvare un candidato. Nelle scuole statali questo vergognoso modo di procedere era molto meno consueto, ma si arrivava alla promozione anche con votazioni di totale mediocrità. Povera scuola italiana, negli anni dal 1980 al 2000!
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