domenica 10 marzo 2013

Anni di scuola: 109. Una lezione di vita

Sono quelli i momenti in cui si vorrebbe intervenire in modo concreto, ma senza il sostegno dei responsabili , preside, vicepreside, qualche altro collega, qualche bidello o impiegato di segreteria, non si può fare praticamente nulla: è un mondo così sfuggente e pericoloso che tutti si guardano bene dal passare all'azione repressiva.
In qualche caso è addirittura possibile il sospetto di una corresponsabilità, ma quello è un caso ancora più pericoloso, e l'uso del paraocchi è assolutamente indispensabile. Rimane nell'aria l'ombra di un sospetto, o solo qualcosa di più.
Quel ragazzo, di cui ogni tanto incontravo anche il padre, io lo lasciai ancora nella scuola nel momento in cui andai in pensione. Un bel giorno, passati cinque o sei anni, me lo rividi davanti all'uscita di un supermercato, mentre stava sistemando degli acquisti sulla sua auto. Mi salutò affettuosamente, almeno in apparenza, e con uno smagliante sorriso mi confessò che in quei cinque o sei anni aveva avuto il tempo, una volta lasciati gli studi, non so se col diploma  o meno di ragioniere, di trovare un buon lavoro, di conoscere una bella ragazza, di sposarsi e di avere avuto anche un bambino che ora aveva poco più di un anno.
Quel sorriso era forse una sfida? Sembrava infatti voler dire: - Vede, lei pensava che io, per colpa di un  po' di marjuana, non sarei mai stato capace di realizzare tutto questo, mentre lei è lì coi suoi problemi, lei così irreprensibile e moralista, coi suoi figli ormai adulti, con un brillante titolo di studio ma non  ancora sistemati. A che cosa le è servita, la sua pretesa virtù? Guardi invece me...-
Io lo guardavo, infatti, completamente sbalordito e stordito. E non potei far altro che stringergli la mano e augurargli ancora tanta tanta buona fortuna.

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