Sarà stata, infine, una naturale bonarietà, per cui verso i miei alunni ho usato sempre una bilancia generosa, in cui la bocciatura non era quasi mai prevista, e in cui il voto negativo era usato con molta parsimonia, lasciando sempre aperta la via al recupero e alla riparazione, e soprattutto alla possibilità di un miglioramento.
Se qualche alunno ha mai avuto il desiderio di dirmi grazie, posso giurare che non me lo ha mai espresso a parole. E quanto ai regali,
era normale che fossi io a farli a loro, un libro o una penna, un quaderno o una gomma, anziché loro a me: ho sempre avuto molta più gioia nel dare che nel ricevere, e credo che questo sia un fatto normale.
In fatto di doni ricevuti, ricordo solo due episodi che mi sono rimasti vivi: un anno dovetti fare il rappresentante di classe in sostituzione di quel famoso insegnante di ragioneria che quella volta non era disponibile per motivi di salute, e al termine delle operazioni, avendo la classe ottenuto voti assai brillanti, mi regalarono una penna biro di scarso valore che mi si ruppe immediatamente. Un'altra volta, invece, la mamma di un ragazzo un po' particolare si presentò a casa mia con un fiasco d'olio e una busta di fagioli casarecci, e sia io che mia moglie non ritenemmo opportuno umiliarla con un rifiuto: personalmente, la rassicurai che il figlio era un ragazzo umile e desideroso di migliorare, e che era mia intenzione aiutarlo comunque, senza bisogno di nessuna sollecitazione. Mi sentivo umiliato per lei, per la sua ingenuità: ma la perdonai perchè convinto che lo avesse fatto solo per il gran bene che voleva al proprio figlio.
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