Ebbene, il preside, partendo dalla sbandierata opportunità di non designare sempre lo stesso rappresentante di classe, insistette per la designazione di un altro insegnante, divertendosi cinicamente per due ore alle nostre scuse e false ragioni per evitare quella fastidiosissima incombenza.
Alla fine io, per evitare quello strazio che si stava trascinando morbosamente, mi offrii come vittima: il nostro caro dirigente non disse né sì né no, proseguendo nel suo sadico gioco, sapendo benissimo che il professore di ragioneria stava aspettando con ardente desiderio la conferma che si verificava da cinque o sei anni ininterrottamente.
Una insegnante settentrionale, molto orgogliosa, si dimostrò ferita per me, e mi disse: - Perché non dai le dimissioni e non cambi istituto? Ti ha mancato di rispetto non accettando la tua candidatura -
Io non mi sentivo poi molto colpito da quel "nì" così sospetto. Forse avevo capito quale era il gioco organizzato dal preside per svergognare pubblicamente tutti i suoi insegnanti impegnati in un umiliante scaricabarile.
Quell'anno così disgraziato si concluse in maniera clamorosa, per me. Mi ritrovai designato come commissario d'italiano in una scuola privata di Roma con la quale il nostro preside aveva evidentemente dei rapporti, e le aveva procurato un commissario ritenuto bonario e clemente. Il fatto è che, arrivando all'istituto, trovai che un altro commissario d'italiano era già presente, per cui io, subodorato l'imbroglio, fui ben felice di tornare in Provveditorato e di farmi nominare sostituto presidente in un'altra commissione pure di Roma, con mia grande soddisfazione, minor fatica e anche maggior guadagno.
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