Al pallone io ero arrivato tardi, non prima del mio undicesimo anno. Santino era sempre stato più bravo di me, e i miei primi tentativi erano stati goffi. Poi, pian piano, anch'io avevo cominciato a imparare qualcosa, ma più che altro ero un discreto colpitore e avevo una buona velocità con la quale riuscivo ad anticipare gli avversari, sia come terzino destro, sia, all'opposto, come ala sinistra, quando riuscivo a superare il mio terzino e a crossare, o anche a tirare, avendo un buon sinistro.
Per un certo periodo avevo giocato anche in porta, essendo piuttosto scattante: ma poi la crescente miopia mi aveva impedito di continuare in quel ruolo.
Comunque sia, dopo Santino ero anch'io un affezionatissimo del gioco del pallone, e giù ai piani della Ciancola mi distinguevo per la facilità con cui arrivavo al gol negli allenamenti, avendo fiato e rapidità.
Giocavamo per ore e ore: arrivavamo alle 9 e non tornavamo se non dopo le 13, dopo quattro ore filate di gioco. Se invece andavamo di pomeriggio, alle 15, eravamo capaci di resistere fino alle 19 se le giornate erano abbastanza lunghe, cioè dal mese di aprile fino a quello di settembre.
Spesso Santino portava su a casa sua un gruppettino di tre o quattro amici, e ci offriva da bere un suo vinello bianco molto leggero e fresco, allungato gradualmente con l'acqua: così diventava veramente rinfrescante, ci toglieva la sete e ci faceva recuperare un po' delle tantissime energie che avevamo profuso senza risparmio.
Disputavamo ogni tanto degli incontri amichevoli, specialmente con squadrette del Piglio, di Fiuggi, di Anagni, di Vico nel Lazio, di Trivigliano e di Torre Cajetani, cioè dei paesi più vicini. Un anno riuscimmo ad organizzare un vero e proprio torneo esattamente con quegli stessi paesi, con partite di andata e ritorno, su campetti quasi sempre sassosi e irregolari.
Ricordo con particolare piacere il mio primo gol, segnato contro una squadra di Anagni con un angolatissimo tiro di sinistro da posizione impossibile: 1-0 per l'Acuto, e tantissimi abbracci dei miei compagni per quella vera prodezza.
Il gioco del pallone riempiva le nostre giornate, non pensavamo minimamente allo studio: avevamo sedici anni e ancora non pensavamo neanche all'amore. A quei tempi si era molto più ingenui e bambini di quanto non siano i sedicenni di oggi.
Aurelio, il severo zio di Santino, qualche volta ci sequestrava il pallone per provare a farci studiare almeno un po'. Tuttavia, sapendo giocare a pallone anche lui, non di rado riuscimmo a convincerlo a scendere in campo con sfide che coinvolgevano persone adulte, come le divertenti amichevoli scapoli-ammogliati. Ricordo che gli anziani, non riuscendo a beccare palla, ci pregavano ardentemente: - Lasciateci giocare qualche pallone, altrimenti facciamo una ben magra figura! -
E in quei momenti, si era felici un po' tutti, giovani e anziani, dando un calcio, oltre che al pallone, anche a tutta una serie di dispiaceri e di preoccupazioni.
Per un certo periodo avevo giocato anche in porta, essendo piuttosto scattante: ma poi la crescente miopia mi aveva impedito di continuare in quel ruolo.
Comunque sia, dopo Santino ero anch'io un affezionatissimo del gioco del pallone, e giù ai piani della Ciancola mi distinguevo per la facilità con cui arrivavo al gol negli allenamenti, avendo fiato e rapidità.
Giocavamo per ore e ore: arrivavamo alle 9 e non tornavamo se non dopo le 13, dopo quattro ore filate di gioco. Se invece andavamo di pomeriggio, alle 15, eravamo capaci di resistere fino alle 19 se le giornate erano abbastanza lunghe, cioè dal mese di aprile fino a quello di settembre.
Spesso Santino portava su a casa sua un gruppettino di tre o quattro amici, e ci offriva da bere un suo vinello bianco molto leggero e fresco, allungato gradualmente con l'acqua: così diventava veramente rinfrescante, ci toglieva la sete e ci faceva recuperare un po' delle tantissime energie che avevamo profuso senza risparmio.
Disputavamo ogni tanto degli incontri amichevoli, specialmente con squadrette del Piglio, di Fiuggi, di Anagni, di Vico nel Lazio, di Trivigliano e di Torre Cajetani, cioè dei paesi più vicini. Un anno riuscimmo ad organizzare un vero e proprio torneo esattamente con quegli stessi paesi, con partite di andata e ritorno, su campetti quasi sempre sassosi e irregolari.
Ricordo con particolare piacere il mio primo gol, segnato contro una squadra di Anagni con un angolatissimo tiro di sinistro da posizione impossibile: 1-0 per l'Acuto, e tantissimi abbracci dei miei compagni per quella vera prodezza.
Il gioco del pallone riempiva le nostre giornate, non pensavamo minimamente allo studio: avevamo sedici anni e ancora non pensavamo neanche all'amore. A quei tempi si era molto più ingenui e bambini di quanto non siano i sedicenni di oggi.
Aurelio, il severo zio di Santino, qualche volta ci sequestrava il pallone per provare a farci studiare almeno un po'. Tuttavia, sapendo giocare a pallone anche lui, non di rado riuscimmo a convincerlo a scendere in campo con sfide che coinvolgevano persone adulte, come le divertenti amichevoli scapoli-ammogliati. Ricordo che gli anziani, non riuscendo a beccare palla, ci pregavano ardentemente: - Lasciateci giocare qualche pallone, altrimenti facciamo una ben magra figura! -
E in quei momenti, si era felici un po' tutti, giovani e anziani, dando un calcio, oltre che al pallone, anche a tutta una serie di dispiaceri e di preoccupazioni.
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