giovedì 12 agosto 2010

La valigia della zia - I miei ricordi 99

Non so se fossimo maleducati e poco graditi, ma quando arrivavano le zie da Roma con le loro enormi valigie, noi due o tre più piccoli nipoti di Acuto eravamo sempre lì a curiosare. Tanti erano i nostri "ooh" di meraviglia alla Povia, e tanta la loro contentezza nel vederci contenti, che oggi sono propizio a credere che quel momento era bello proprio per le nostre carissime zie.
Agli zii avevamo già pensato in precedenza, andando a salutarli quando erano ancora per via, rigorosamente dalla stazioncina della Roma-Fiuggi, poiché macchine private, in quel tempo, ancora non esistevano. I cari zii Peppino e Peppone, il primo specilmente, che era il più affettuoso, non ci facevano mai mancare le loro monetine di piccola o media taglia, con le quali provedevamo alle nostre piccolissime spese settimanali.
Ma lo spettacolo vero era l'apertura della grande valigia, quella con le sorprese, per i nipotini. Zia Agnese la piazzava proprio davanti al caminetto della cucina di nonna Livia, che d'estate raramente era in funzione.
L'apertura era preceduta da un inconfondibile odore: quello del pane di Roma. Le rosette o gli sfilatini, di preferenza le prime. Noi, abituati alle nostre grandi pagnotte che affettavamo con molta prudenza, e che magari dopo sette giorni non avevano più odore né fragranza, captavamo con piacere con le narici quell'odorino dolciastro delle rosette, che addentavamo subito con gioia con un piccolo companatico, di solito un formaggino triangolare o, al limite, anche senza nulla: tanto la rosetta si manteneva abbastanza morbida e saportita anche a distanza di dodici ore.
Quella valigia era piena di tanti pensierini che le nostre cuginette di Roma ci riservavano. Marisa, di tre anni più grande di me, non si dimenticava mai di farmi avere un piccolo libro, che all'inizio era quello che riproducava la forma di un cagnolino o di un porcellino o di una casetta dal tetto fumante. Poi, man mano che diventavamo più grandi, il libro diventava più significativo: un bel romanzo per ragazzi, di solito della collezione Salani di Firenze, che allora andava per la maggiore. Quel dono lì aveva per me un valore molto grande, dato che la lettura era forse la cosa che più mi appassionava.
Non mancava però qualche giocattolino comprato appositamente per noi: una trombetta, un cavalluccio di legno, un'automobilina di latta con la sirena.
Generosi gli zii, generose le cuginette, a noi particolarmente care: compagne dei nostri giochi, sempre allegre e particolarmente ricche di humor, si divertivano a farci fare le più matte risate e a raccontarci le più inverosimili avventure.
Se era una gioia per noi, questo periodico loro ritorno al paese lo era soprattutto per loro: a Roma stavano benissimo, avevano tante amiche ed amici e tanti negozi vivino casa, specialmente la cartolibreria Mario Buzzoli lì a via Merulana, cinque portoni più avanti del 11o che torreggiava di fronte alla Chiesa di S. Anna, tra il cinema Brancaccio e via Ruggero Bonghi dove erano le loro scuole, sia le elementari che le medie. Luoghi che anche noi conoscevamo benissimo, tale era l'amore tra le nostre famiglie.
Ma per loro, tornare ad Acuto per qualche giorno rappresentava la felicità suprema, quasi un pieno recupero delle loro vere radici e della loro vera identità, che comprendeva questo scambio affettuoso tra cugini che si volevano bene (continua).

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