Eravamo pochi alunni per classe, meno di una dozzina, l'ideale per imparare bene.
Nella mia classe, c'era un mio caro amico d'infanzia, Santino, eravamo entrati insieme in seminario dopo aver fatto cinque anni di elementari nella stessa classe ad Acuto.
Santino era prezioso, per me: rappresentava il mio contatto con il paese natìo. Ogni santa domenica veniva a trovarlo con la sua asina il padre, Augusto, detto Papozzo: un viaggio di almeno quattro ore, che santa pazienza, per sentieri sassosi, da ripetere poi al ritorno, e stavolta tutti in salita, appena qualche ora dopo.
Mia madre mi mandava, tramite Augusto, quel poco che poteva: intanto i panni puliti, poi una mezza pagnotta di pane, un po' di mele, ogni tanto un barattolo di marmellata d'uva fatta da zia Paolina al Piglio. In questo modo l'asinella di Augusto riusciva a portarmi l'eco di quel legame di affetto di cui tanto avevo bisogno.
Nella nostra classe c'erano due ragazzi di Morolo, tutti e due di nome Luigi come me: Canali e Fiaschetti. Il primo era nato a Barce, in Libia, dove il padre era emigrato. Poi, dopo la cacciata dalla Libia, si era trasferito a Mentone, in Liguria, e dopo il trattato di pace si era ritrovato cittadino francese senza volerlo. La famiglia era rientrata in Italia e se la passava piuttosto male, senza radici.
L'altro Luigi, Fiaschetti, aveva invece parenti americani, stava bene di famiglia. Il fratello maggiore, Francesco, era un giovane sacerdote e fungeva da prefetto proprio nel nostro seminario.
Un altro ragazzo,Cefaloni, era di Gorga, ma non legava molto con noi, e lo ricordo meno. Nella nostra classe s'inserivano anche alcuni ragazzi di un collegio di caracciolini, religiosi che si appoggiavano a noi per la loro formazione culturale. Ne ricordo due, entrambi di Porciano, frazione di Ferentino situata sulla verdissima montagna dirimpetto ad Acuto, con ai piedi il lago di Canterno e il santuario della Madonna della Stella: un pezzo della mia infanzia. Si chiamavano Cardinali e Boccitto, e il primo era nipote di un nostro bravissimo insegnante, don Francesco Cardinali, che ebbe poi una lunghissima e onorata carriera culturale oltre che religiosa.
Coi caracciolini, che indossavano una divisa con pantaloni e camicia grigio scuro, c'era anche un ragazzo romano, Giovanni Alivernini, che mostrava una certa cultura e disinvoltura.
Alunno interno era anche un altro ragazzo di Gorga, Amici, che aveva un fisico robusto e sembrava più maturo dei suoi anni, serio e riflessivo. Ricordo anche Giuliani di Anagni, un ragazzo dai capelli rossi molto vivace. Infine c'era un altro compagno, Riccardo Filippi, di Carpineto Romano, intelligente e impegnato, che alcuni anni dopo ritrovai nel mio secondo collegio, il Conti Gentili di Alatri.
Noi tre Luigi e Santino rappresentavamo comunque il nucleo forte della classe, e anche della camerata. Eravamo molto amici. Un legame che è rimasto vivo anche "dopo". Ma per arrivare a quel "dopo" dovranno passare almeno quattro anni di vita in comune, un periodo in cui il nostro legame sicuramente si rinsaldò e sostituì gli affetti di famiglia.
Il seminario era un palazzone monumentale, addossato alla cattedrale, e nel suo retro c'era lo storico palazzo di Bonifacio VIII, databile intorno al 1200. I corridoi erano lunghissimi e tortili, con curve incredibili, e si sviluppavano almeno per tre piani. Al pian terreno c'erano le enormi cucine e le grandi dispense, regno delle suore che provvedevano ai pasti, alle pulizie e alla lavanderia.
Al quarto piano, e parzialmente anche a un quinto, c'erano sconfinate soffitte chiamate "Siberia" per il gran freddo che vi regnava: i suoi finestroni, infatti, non avevano infissi. Ospitavano masserizie varie e scaffali con vecchissimi libri.
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