Il mio amico Santino, rimasto in seminario anche senza la mia "storica" amicizia che datava da almeno nove anni, cioè dall'inizio delle elementari ad Acuto, incassò il colpo con una certa fatica. Non avevo notizie dirette, ma so benissimo che senza di me si sentiva un po' a disagio. Lui era il leader nei giochi e nello sport, io nella scuola e nella cultura; insieme ci completavamo a meraviglia. Un' amicizia che sarebbe durata per tutta la vita, malgrado lunghi periodi di lontananza.
Non ricordo con precisione quando: sicuramente dopo le feste di Natale del medesimo 1949. Un brutto giorno, anche Santino tornò ad Acuto. Brutto giorno, perché il ragazzo, sempre allegro e vitale, era rimasto vittima di una malattia che, almeno per me, rimane misteriosa. Lunghi e lunghi mesi di febbre trascorsi a letto: forse tifo, forse anche un principio di meningite per fortuna superato alla grande.
Lui abitava su alla piazza della Corte: saranno stati cento metri da casa mia, vicino a piazza San Nicola. Io non avevo il coraggio di andarlo a trovare: aveva sempre un febbrone da cavallo, e magari mi consigliarono di non andarci, anche se mi sentivo in colpa. Ma come! Era quella la nostra grande amicizia? Quante volte il padre, Augusto, con la sua paziente asina, era venuto ad Anagni a trovare il figlio e a portare anche a me i messaggi e qualche pacchetto di alimentari da parte dei mei! Ed io?
Finalmente il mio senso di colpa ebbe termine dopo due o tre mesi, quando Santino si riprese perfettamente dalla sua brutta malattia, e sceso il suo lungo vicolo, tornò giù a San Nicola a giocare, e potemmo riformare quel binomio di amici inseparabili. Quante partite di calcetto o di pallone, a scapito dei nostri studi tornati precari!
Nello stesso tempo il parroco don Filippo continuava a vederci nelle sue messe e nelle sue preghiere serali, e forse si illudeva di vederci tornare nuovamente in seminario: ma noi la nostra via, ormai, l'avevamo presa.
Ci piaceva troppo giocare, e anche stare insieme alle ragazze, le mie cugine Maria Luigia e Maria Pia e alla cerchia delle loro amiche Anna Maria, Elena, Elisabetta, Francesca, e tante altre. Facevamo delle belle passeggiate e si poteva coltivare anche qualche piccolo sentimento d'amore, molto timido e rispettoso peraltro.
No, di seminario non si parlò più. Purtroppo anche i nostri studi ne scapitarono inevitabilmente, malgrado qualche tentativo di resistenza.
Uno zio di Santino, Aurelio, amicissimo di mio fratello maggiore Vito che lavorava da tempo a Roma, ci controllava un pochino, ma non poteva fare più di tanto: si limitava a rimproverarci di tanto in tanto, affermando che eravamo "infantili", dei bambini cresciuti male. Era un tipo severo, lui, ma altro non poteva fare. Così l'anno, decisamente travagliato, andava trascorrendo in modo tutto sommato piacevole, per noi: i conti li avremmo fatti a giugno, quando saremmo andati a sostenere gli esami di licenza ginnasiale in qualità di privatisti.
Non ricordo con precisione quando: sicuramente dopo le feste di Natale del medesimo 1949. Un brutto giorno, anche Santino tornò ad Acuto. Brutto giorno, perché il ragazzo, sempre allegro e vitale, era rimasto vittima di una malattia che, almeno per me, rimane misteriosa. Lunghi e lunghi mesi di febbre trascorsi a letto: forse tifo, forse anche un principio di meningite per fortuna superato alla grande.
Lui abitava su alla piazza della Corte: saranno stati cento metri da casa mia, vicino a piazza San Nicola. Io non avevo il coraggio di andarlo a trovare: aveva sempre un febbrone da cavallo, e magari mi consigliarono di non andarci, anche se mi sentivo in colpa. Ma come! Era quella la nostra grande amicizia? Quante volte il padre, Augusto, con la sua paziente asina, era venuto ad Anagni a trovare il figlio e a portare anche a me i messaggi e qualche pacchetto di alimentari da parte dei mei! Ed io?
Finalmente il mio senso di colpa ebbe termine dopo due o tre mesi, quando Santino si riprese perfettamente dalla sua brutta malattia, e sceso il suo lungo vicolo, tornò giù a San Nicola a giocare, e potemmo riformare quel binomio di amici inseparabili. Quante partite di calcetto o di pallone, a scapito dei nostri studi tornati precari!
Nello stesso tempo il parroco don Filippo continuava a vederci nelle sue messe e nelle sue preghiere serali, e forse si illudeva di vederci tornare nuovamente in seminario: ma noi la nostra via, ormai, l'avevamo presa.
Ci piaceva troppo giocare, e anche stare insieme alle ragazze, le mie cugine Maria Luigia e Maria Pia e alla cerchia delle loro amiche Anna Maria, Elena, Elisabetta, Francesca, e tante altre. Facevamo delle belle passeggiate e si poteva coltivare anche qualche piccolo sentimento d'amore, molto timido e rispettoso peraltro.
No, di seminario non si parlò più. Purtroppo anche i nostri studi ne scapitarono inevitabilmente, malgrado qualche tentativo di resistenza.
Uno zio di Santino, Aurelio, amicissimo di mio fratello maggiore Vito che lavorava da tempo a Roma, ci controllava un pochino, ma non poteva fare più di tanto: si limitava a rimproverarci di tanto in tanto, affermando che eravamo "infantili", dei bambini cresciuti male. Era un tipo severo, lui, ma altro non poteva fare. Così l'anno, decisamente travagliato, andava trascorrendo in modo tutto sommato piacevole, per noi: i conti li avremmo fatti a giugno, quando saremmo andati a sostenere gli esami di licenza ginnasiale in qualità di privatisti.
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