Il piccolo don Giuseppe Gessi, nostro prefetto, era veramente prezioso. Ognuno di noi aveva fiducia in lui, ognuno di noi si confidava con lui. Era molto più di un fratello maggiore.
Se col rettore, col vicerettore, col padre ministro, e con gli stessi confessori, c'era un velo di distacco, con don Giuseppe questo distacco non esisteva. Se lo paragono con Albino Bilibìo, mi viene quasi da rabbrividire pensando a quale distacco ci può essere da chi non è amico sincero, pur avendo lo stesso compito di capirci.
Don Giuseppe otteneva da noi tutto quello che voleva, proprio perché non esigeva nulla: ci chiedeva solo la nostra disponibilità.
Ricordo: era maggio, e ogni sera, dopo cena, in una pausa della ricreazione, lui ci convocava in un angolo dello studio, dove c'era un bel quadro della Vergine con bambino, e ci diceva: prepariamoci a imparare a fare delle piccole prediche. Poi indicava uno di noi, e diceva:- Domani sera vuoi farla tu, una prova di predica? -
Il ragazzo indicato acconsentiva volentieri, e il giorno successivo si preparava. Faceva uno schemino, faceva delle prove silenziose, si correggeva, arricchiva, e la sera si sentiva pronto ad affrontare la prova, che non era proprio una passeggiata.
Quando fu la mia volta, anch'io mi preparai con attenzione. Scrissi uno schema-base, poi arricchii il mio pensiero. Credo che don Giuseppe si aspettasse da me qualcosa di speciale, poiché ero tra i più quotati, e poi scrivevo e parlavo bene l'italiano.
Il giorno dopo, durante la passeggiata, che compivamo ogni giorno di tempo bello fra le due e le quattro, mentre chiacchieravamo del più e del meno mi disse: - La tua predica è stata bella, eppure c'era qualcosa che non andava, come una sensazione di freddezza -
Io ci rimasi male, ma forse me lo aspettavo. Sono stato sempre restio a esibirmi in pubblico, per una specie di profonda timidezza che non se ne andava via nemmeno quando conoscevo tutti quelli con cui parlavo.
Ma don Giuseppe era uno psicologo troppo profondo per non intuire che c'era qualcos'altro che stava maturando lentamente dentro di me. La via del sacerdozio occupava sempre meno la mia mente, altre sensazioni stavano sviluppandosi nella mia psiche, e tutto questo veniva almeno in parte captato da quel giovane sacerdote che era tanto vicino alla nostra anima, che parlava di tutto con noi e in modo così profondo e totale da non lasciarsi sfuggire nulla. Eppure io stesso non sapevo nulla di quello che mi stava accadendo, e che fra alcuni mesi sarebbe venuto a galla inevitabilmente.
Se col rettore, col vicerettore, col padre ministro, e con gli stessi confessori, c'era un velo di distacco, con don Giuseppe questo distacco non esisteva. Se lo paragono con Albino Bilibìo, mi viene quasi da rabbrividire pensando a quale distacco ci può essere da chi non è amico sincero, pur avendo lo stesso compito di capirci.
Don Giuseppe otteneva da noi tutto quello che voleva, proprio perché non esigeva nulla: ci chiedeva solo la nostra disponibilità.
Ricordo: era maggio, e ogni sera, dopo cena, in una pausa della ricreazione, lui ci convocava in un angolo dello studio, dove c'era un bel quadro della Vergine con bambino, e ci diceva: prepariamoci a imparare a fare delle piccole prediche. Poi indicava uno di noi, e diceva:- Domani sera vuoi farla tu, una prova di predica? -
Il ragazzo indicato acconsentiva volentieri, e il giorno successivo si preparava. Faceva uno schemino, faceva delle prove silenziose, si correggeva, arricchiva, e la sera si sentiva pronto ad affrontare la prova, che non era proprio una passeggiata.
Quando fu la mia volta, anch'io mi preparai con attenzione. Scrissi uno schema-base, poi arricchii il mio pensiero. Credo che don Giuseppe si aspettasse da me qualcosa di speciale, poiché ero tra i più quotati, e poi scrivevo e parlavo bene l'italiano.
Il giorno dopo, durante la passeggiata, che compivamo ogni giorno di tempo bello fra le due e le quattro, mentre chiacchieravamo del più e del meno mi disse: - La tua predica è stata bella, eppure c'era qualcosa che non andava, come una sensazione di freddezza -
Io ci rimasi male, ma forse me lo aspettavo. Sono stato sempre restio a esibirmi in pubblico, per una specie di profonda timidezza che non se ne andava via nemmeno quando conoscevo tutti quelli con cui parlavo.
Ma don Giuseppe era uno psicologo troppo profondo per non intuire che c'era qualcos'altro che stava maturando lentamente dentro di me. La via del sacerdozio occupava sempre meno la mia mente, altre sensazioni stavano sviluppandosi nella mia psiche, e tutto questo veniva almeno in parte captato da quel giovane sacerdote che era tanto vicino alla nostra anima, che parlava di tutto con noi e in modo così profondo e totale da non lasciarsi sfuggire nulla. Eppure io stesso non sapevo nulla di quello che mi stava accadendo, e che fra alcuni mesi sarebbe venuto a galla inevitabilmente.
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