Un'estate, appena rientrati dalle vacanze di luglio, per le feste patronali di San Magno, un circo venne a parcheggiare nella grande piazza prospiciente il palazzo di Bonifacio VIII. In pratica, alle spalle del seminario. Così quando noi, intorno alle dieci di sera, andavamo a dormire, ci giungevano netti tutti i rumori della festa.
Mi sembra di ascoltare anche adesso certi ritmi e certe canzoni: "Stanotte in Harlem vo / con tutti i miei pensier..."
Musiche sensuali, parole d'amore, ritmi afrocubani, problemi razziali, il tutto sbattuto prepotentemente sotto gli orecchi di ragazzi appena quattordicenni, neanche adolescenti, chiamati magari al sacerdozio. Era una bella prova, e dovemmo sostenerla in quei dieci-quindici giorni di scandalo, perché tutto si placasse e si tornasse alla serenità di sempre.
Ma quelle musiche, in quelle ore notturne, almeno fino alla mezzanotte, lasciarono un'impronta incancellabile su molti di noi: una vita sconosciuta, sbattutaci in faccia malgrado le mille cautele dei nostri superiori, che non potettero far nulla per difendere il nostro ambiente così appartato e riservato.
Ma le prove sono fatte per essere superate, ed hanno comunque una funzione formativa e utile a cercare in se stessi la via più appropriata.
Il prete deve conoscere la vita in tutte le sue forme: non può pretendere di esserne indenne. Il prete è un uomo come gli altri, ed anche la sensualità e la sessualità lo riguardano, non può ignorarle se vuole considerarsi una persona concreta e completa. Deve solo imparare ad affrontare le prove ed a vincerle. Se non ci riesce, deve capire che la sua strada è un'altra.
Dopo quell'estate, la vita del seminario per molti di noi
cominciò a generare qualche dubbio. Negli anni successivi, prima l'uno poi l'altro dei settanta seminaristi cominciò la sua selezione e la sua scelta graduale.
Naturalmente, non fu solo quella la causa di questa selezione. Nei prossimi capitoli ne vedremo una serie di altre, tutte ugualmente valide e importanti. E ad esse si aggiungevano le singole situazioni personali. Quando arrivò il momento in cui il mio fratello minore Luciano avrebbe dovuto affrontare la scelta per gli studi, e anche per lui la via del seminario sarebbe stata probabilmente la soluzione più semplice, io cominciai a provare un crescente disagio: già sentivo dentro di me la colpa di essere il terzo fratello a tentare la via del seminario, e cominciai a pensare che non ce l'avrei fatta a sostenere anche un quarto tentativo con una partecipazione e responsabilità diretta.
Forse fu proprio quella la spinta decisiva a una decisione probabilmente frettolosa.
Mi sembra di ascoltare anche adesso certi ritmi e certe canzoni: "Stanotte in Harlem vo / con tutti i miei pensier..."
Musiche sensuali, parole d'amore, ritmi afrocubani, problemi razziali, il tutto sbattuto prepotentemente sotto gli orecchi di ragazzi appena quattordicenni, neanche adolescenti, chiamati magari al sacerdozio. Era una bella prova, e dovemmo sostenerla in quei dieci-quindici giorni di scandalo, perché tutto si placasse e si tornasse alla serenità di sempre.
Ma quelle musiche, in quelle ore notturne, almeno fino alla mezzanotte, lasciarono un'impronta incancellabile su molti di noi: una vita sconosciuta, sbattutaci in faccia malgrado le mille cautele dei nostri superiori, che non potettero far nulla per difendere il nostro ambiente così appartato e riservato.
Ma le prove sono fatte per essere superate, ed hanno comunque una funzione formativa e utile a cercare in se stessi la via più appropriata.
Il prete deve conoscere la vita in tutte le sue forme: non può pretendere di esserne indenne. Il prete è un uomo come gli altri, ed anche la sensualità e la sessualità lo riguardano, non può ignorarle se vuole considerarsi una persona concreta e completa. Deve solo imparare ad affrontare le prove ed a vincerle. Se non ci riesce, deve capire che la sua strada è un'altra.
Dopo quell'estate, la vita del seminario per molti di noi
cominciò a generare qualche dubbio. Negli anni successivi, prima l'uno poi l'altro dei settanta seminaristi cominciò la sua selezione e la sua scelta graduale.
Naturalmente, non fu solo quella la causa di questa selezione. Nei prossimi capitoli ne vedremo una serie di altre, tutte ugualmente valide e importanti. E ad esse si aggiungevano le singole situazioni personali. Quando arrivò il momento in cui il mio fratello minore Luciano avrebbe dovuto affrontare la scelta per gli studi, e anche per lui la via del seminario sarebbe stata probabilmente la soluzione più semplice, io cominciai a provare un crescente disagio: già sentivo dentro di me la colpa di essere il terzo fratello a tentare la via del seminario, e cominciai a pensare che non ce l'avrei fatta a sostenere anche un quarto tentativo con una partecipazione e responsabilità diretta.
Forse fu proprio quella la spinta decisiva a una decisione probabilmente frettolosa.
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