Avevo undici anni, quando ci fu il referendum. I miei ricordi, qui, diventano piuttosto vaghi: so soltanto che c'era una netta divisione del paese, con la sinistra schierata compatta per la repubblica, mentre la Democrazia Cristiana appariva piuttosto defilata, e lasciava il voto alla libera coscienza del cittadino.
Grande propaganda per la Monarchia, comunque, non ci fu: in paese giravano, nella massa cartacea elettorale, delle foto molto sbiadite della famiglia reale . Non tanto Umberto II, non tanto sua moglie Maria Josè, la regina di pochi giorni, dal 9 maggio al 2 giugno, quanto le foto dei piccoli figli, Vittorio, Maria Pia, Gabriella e Beatrice.
Se tutti quelli furono gli sforzi di Casa Savoia per cercare di salvarsi e di salvare la sua storia centenaria, furono veramente pochi e condannati a priori alla sconfitta.
Nel Meridione, e culturalmente il paese di Acuto sembrava far parte di esso, il pensiero prevalente era quello di non addossare tutte le responsabilità della sconfitta alla casa regnante, anche se la fuga dei reali da Roma era stata vergognosa. Però, se il vecchio re Vittorio era fuggito senza starci a pensare troppo, il figlio Umberto II era rimasto in un primo momento nella capitale al fianco della Resistenza, e questo molta gente lo aveva apprezzato, fino a concedergli una possibilità che il voto prevalente per la monarchia sottolineava. Ad Acuto, però, c'era anche una sinistra molto attiva e dinamica, che praticamente equilibrava la situazione.
Fu da Roma in su che la Repubblica prevalse, per i due famosi milioni di voti di vantaggio che furono attribuiti all'azione diplomatica del ministro degli interni Romita.
Tutto sommato, il voto per la Repubblica fu accettato senza problemi: non ci furono sommosse come quelle per la caduta di Mussolini o per l'armistizio. La gente accettò con indifferenza, forse anche con un pizzico di piacere per la novità, la cacciata dei Savoia e l'avvento della Repubblica. Un mese dopo, ad Acuto, non avresti trovato più un monarchico neanche a peso d'oro, e quei pochi che ricordavano il re erano solo i nostalgici, in generale, del passato e del ventennio di dittatura.
Più un fatto di natura economica che altro. Chi stava bene con la Monarchia e con il vecchio regime, evidentemente era portato a rimpiangere quei tempi, ma ad Acuto erano talmente pochi da non avere praticamente voce in capitolo.
L'ex podestà del paese era anche proprietario dell'unica industria del luogo, quella della fornace della calce. Quando, dopo parecchi mesi, riprese l'attività, poteva avere ancora un certo ascendente su quella cinquantina di operai che vi lavoravano, e nelle prossime elezioni saranno le uniche voci dissenzienti.
Per il resto, il paese si orientò su altre forze moderate, quelle democristiane, che presero il sopravvento ed elessero sindaco un professore di educazione fisica, Giuseppe Germini, rimasto in carica ininterrottamente per un trentennio, fino al 1978, quando ci fu una vera rivoluzione, che diede vita a un secondo trentennio, durato fino al 2009, con l'amministrazione in mano al centrosinistra, con un sindaco di estrazione comunista, l'ingegnere Pio Pilozzi.
Evidentemente, ad Acuto, la storia si fa soltanto per periodi di trent'anni circa e per dinastie familiari: Perinelli - Germini - Pilozzi: 1920 - 1950 - 1980 - 2010 (arrotondiamo per comodità),novant'anni di storia di Acuto passando dal fascismo alla Democrazia Cristiana, e dalla Sinistra nuovamente al Centro.
Ma sembra improbabile che quest'ultimo possa durare per un altro trentennio, essendo formato da una maggioranza piuttosto fragile, che ha conquistato il potere soltanto per le discordie dello schieramento opposto.
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