martedì 15 giugno 2010

Il portone di Zenaide - I miei ricordi - 71

Di fronte al portoncino di casa mia, in via Vittorio Emanuele, si spalancava l'enorme portone di Zenaide. Un portone spettacolare, nel cui interno c'era prima di tutto una piazzola al coperto, dove si poteva giocare tranquillamente in caso di pioggia, di gran freddo o anche di gran caldo.
Infatti, all'interno del portone, c'era fresco anche d'estate. Poi, un'ampia rampa di scale portava al primo piano. Sulla destra, quasi in pieno buio, c'era la porta di un primo appartamento, le cui finestre erano dirimpetto alle finestre delle nostre due camere da letto, al di là della stretta via di tre metri, nella quale poteva passare a stento un'automobile.
A sinistra delle scale di Zenaide si apriva un altro portoncino che sfociava su un cortiletto esterno con altre abitazioni. All'interno, invece, c'era un enorme ballatoio, piuttosto malmesso, che dava su un'altra ala di appartamenti, o meglio di modeste abitazioni, in quello che era un autentico dedalo.
Per arrivare alla casa vera e propria di Zenaide c'era infine un'altra rampa di scale, che portava a tre o quattro stanze assolate, con ampie finestre e un terrazzo panoramico sulla vallata.
Un'ex casa nobiliare, frammentata e suddivisa da successive spartizioni. Atrio e scale erano il regno dei nostri giochi al chiuso, come il nascondino, dato che era possibile trovare più uscite, di cui una direttamente sul vicolo del Fiore. Si favoleggiava che questi ambienti fossero infestati da apparizioni, come la chioccia dai pulcini d'oro, che magari sarà stata una normalissima chioccia smarritasi tanti anni fa per quelle scale e per quegli androni bui.
Zenaide non viveva neanche sempre ad Acuto, ma veniva solo d'estate con la sua famiglia, il marito Pietrino, usciere di un ente pubblico, e due belle ragazze: Lisetta, la più grande, sui vent'anni, e Marisa, una biondina molto graziosa, che aveva la mia stessa età.
Durante la guerra, Zenaide con le figlie si trasferì ad Acuto, nella sua grande casa dirimpetto alla nostra. C'era anche amicizia, fra noi, e quando le scuole furono chiuse, io e Marisa decidemmo di prepararci insieme agli esami di ammissione alla scuola media.
Per un paio di mesi la cosa funzionò abbastanza, ma in realtà ci accorgevamo ogni giorno delle difficoltà. Si trattava di fare il salto di un anno, non avendo frequentato bene neanche la quarta elementare. Difficoltà particolari nella coniugazione dei verbi e nella matematica. E poi c'era la guerra, c'era l'invasione dei tedeschi, stavamo tutti aspettando gli alleati fermati sul fronte di Cassino.
Così si allentarono gli studi, e un po' si allentò anche l'amicizia. Marisa era molto carina e mi trovavo bene con lei. Forse era sbocciato qualcosa, fra noi. E me ne accorsi qualche anno dopo, quando d'estate Marisa tornò ad Acuto con tanto di fidanzato adulto, e io ci rimasi piuttosto male, rimproverandomi di non aver avuto il coraggio di manifestarle il mio abbozzo di sentimento.
In realtà, le nostre strade si erano separate per sempre. L'anno dopo, mi aspettavano troppe cose, e soprattutto il collegio, che per anni avrebbe diversificato per sempre il mio ambiente personale da quello della mia famiglia e dei miei compaesani, ambiente del quale finora mi ero nutrito con mia grande felicità (continua).

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