sabato 19 giugno 2010

I gelsi del fontanile - I miei ricordi - 73

Tra le risorse naturali di Acuto, per noi bambini del tempo di guerra, oltre alle more delle siepi di rovo, nei mesi estivi c'erano senza dubbio i gelsi del Fontanile.
Ai piedi del Colle Borano, dove allora c'era perfino una stazione facoltativa del trenino Roma-Fiuggi ad appena cinque minuti da quella di Acuto, c'era un viale lungo un centinaio di metri, circondato da ambo i lati da belle piante di gelso. Da giugno in poi, era possibile coglierne i frutti senza alcuna fatica: bastava arrampicarsi lungo il fusto, non più alto di due metri, mettersi seduti su uno dei rami robusti, e coglierne le dolcissime more.
Ce n'erano di due tipi: nere e bianche. Quelle nere erano saporite e zuccherine, quelle bianche un po' meno, ma comunque gradevoli. Bisognava però attendere che fossero veramente mature, perché quando erano ancora rosse erano dure e immangiabili proprio come le more di rovo.
Quelle piante, risalenti agli anni '30, erano solo il ricordo di un tentativo non riuscito della coltivazione del baco da seta, di cui ricordo l'esperimento in alcuni ambienti del grande edificio delle scuole elementari. Ricordo i bachi, il loro lavorio, i bozzoli che si stavano aprendo, ma non ricordo di aver mai vista la produzione vera e propria della seta.
All'inizio degli anni '40 l'esperimento era già bello e fallito, a quattro/cinque anni dalle sanzioni economiche all'Italia di Mussolini e alla tanto proclamata autarchia,
che diede solo due frutti degni di memoria: la cicoria o l'orzo come surrogati del caffè
(ottimo l'orzo per il caffelatte), e la produzione del raion, forse la prima fibra sintetica. La lana ricavata dal latte fu un tentativo riuscito, ma non dal punto di vista economico. Per non parlare della suola delle scarpe ricavata dal cartone, di cui avrebbero fatto una tristissima esperienza i nostri soldati sui primi fronti del 1940, Francia, Albania e Grecia.
Ma torniamo ai nostri amati gelsi. Sono ancora lì, a memoria imperitura. Da bambini andavamo in gruppi a farci una mangiata di gensole, come le chiamavamo in paese. Prima di arrivarci, dovevamo passare sotto l'impianto di produzione di un calcificio, che aveva eroso buona parte della montagna, mentre dall'altissima ciminiera la polvere imbiancava la montagna tutto intorno, rendendo poco respirabile, in quel tratto, la famosa "aria pura" di Acuto.
Negli anni '60, dopo dure lotte, poiché una cinquantina di operai davano da vivere ad altrettante famiglie, l'impianto del calcificio fu chiuso.
La statale 155 per Fiuggi, che noi chiamavamo "la via romana", era completamente sterrata e polverosa. L'asfalto arrivò soltanto negli anni '60. Per fortuna, a Colle Borano, c'era l'acqua purissima e gelida del Fontanile, per rinfrescarci, e poi le famose gelse.
Molte, appena mature, cadevano a terra; se c'era il prato, erano ancora commestibili, ma, se cadevano sull'orlo della strada, erano immangiabili per via della polvere e delle formiche. Ricordo sempre una mia cugina, Maria Luigia, fuggire urlando verso il fontanile per aver mangiato una gelsa senza accorgersi che era piena di formiche. Ma poi tornò per rifarsi la bocca con quei dolcissimi frutti, arrampicandosi agilmente sul tronco e sui primi robusti rami delle piante (continua).

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