mercoledì 2 giugno 2010

La ragazza del villino - I miei ricordi - 65

Ogni estate, nel primissimo dopoguerra, Acuto si riempiva di villeggianti. Molti non erano che paesani ormai stabiliti da decenni a Roma, e che avevano conservato le vecchie case in paese: questi non facevano altro che riprendere per un mese le abitazioni di una volta, dopo averle rinfrescate e rimesse un po' a nuovo.
Si calcola oggi che, per seicento famiglie residenti in paese, vi siano almeno milleduecento abitazioni: questo significa che una casa su due è vuota, e che in estate riprende vita, sicché la popolazione di Acuto all'incirca raddoppia.
Altri villeggianti si sistemavano nel piccolo albergo Roma e nelle due o tre modeste pensioni, tutte sul viale di San Sebastiano, unica strada alberata del paese, cinta fra l'altro da un lungo e robusto muretto, comodissimo per conversare e riposare, specie dirimpetto al bar di Rodolfo e del figlio Valentino, punto nevralgico della villeggiatura.
C'erano poi un paio di villette immerse nel verde, che si popolavano di famiglie di lontane origini paesane.
In una di esse, un anno, si presentò una bellissima ragazza bionda, di origine milanese, molto cordiale con tutti, e portata a fare amicizia con quei tre o quattro ragazzi del paese che erano di buona famiglia, di una certa cultura, e disinibiti nel comportamento.
Viola li riceveva spesso nel suo villino: si giocava a carte e si beveva qualche drink. Un po' di vita mondana che durava un mese e niente più. Far parte dell'élite che girava intorno a Viola era un punto di orgoglio e di prestigio. Tra i frequentatori assidui c'era anche mio fratello di tre anni più grande di me, e forse per questo motivo io non facevo parte del gruppo, e ne ero molto dispiaciuto.
Viola, che conosceva bene gli altri e quasi per niente me, quando c'era qualche festa all'aperto o qualche serata fuori del suo villino era sempre disponibile e amichevole, e sempre al centro dell'attenzione. Io la guardavo un po' da lontano e silenzioso, ma desideroso di farmi notare malgrado fossi troppo più piccolo. Che speranze potevo avere?
Eppure, mi parve che anche lei mi guardasse ogni tanto, come se avesse dell'interesse e volesse conoscermi. Una volta ci scambiammo anche un sorriso, molto timido ed emozionato da parte mia. Ahimè, quelle furono le ultime sere che Viola trascorse ad Acuto, e le speranze di fare una gradevole amicizia si chiusero sul più bello.
Viola lasciò il segno e un piccolo vuoto nel cuore del gruppetto di amici un po' più grandi di me. Quando tornò, gli anni successivi, portò con sé anche un fidanzato da Milano, serioso e con qualche anno più di lei, e anche se rimase amica di tutti, era però una cosa completamente diversa. La guardavamo ormai con tanto rispetto e senza più nessuna speranza nel cuore. E forse un grande amore era finito prima ancora che potesse nascere davvero (continua).

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