Il mio primo insegnante d'italiano, in seminario, fu un giovane trinitario, padre Mario. Bravo e modesto, non abituato ai voli pindarici, ma piuttosto agli strafalcioni di ragazzi provenienti dalle scuole elementari di piccoli paesi ciociari.
In classe eravamo la solita dozzina. Padre Mario ci assegnò come primo compito in classe un temino facile facile: -Le mie vacanze- o qualcosa del genere.Si fece consegnare i quaderni sui quali avevamo svolto l'esercizio, e ce li riportò il giorno dopo.
Quale non fu il mio stupore nel vedere il giudizio che riguardava il mio lavoro: "Speriamo che sia farina del tuo sacco!"
Da qui le mie ire. Abituato agli elogi e al trattamento soft della mia cara maestra Concetta delle elementari di Acuto, vedermi sbattere in faccia quella sentenza mi scottò come aver ricevuto addosso una pentola d'acqua bollente.
Ma come! Io che ero stato sempre così bravo e ricco d'inventiva e di fantasia! Preso dalla rabbia, vergai un controgiudizio bruciante sul quaderno, che certamente mi sarebbe costato caro. Per fortuna trovai il modo di tagliarlo, mutilando la pagina,
e credo spiegando più mitemente che era mio motivo di onore lavorare sempre e con impegno con le mie proprie forze.
Tutto si concluse bene, perché in breve padre Mario, già al mio secondo compito, si convinse pienamente che lavoravo di mio, e da allora si fidò ciecamente di me.
Mi sono sempre portato dietro questa superbia di essere bravo nello scrivere, questa mia assoluta mancanza di umiltà, di capacità di accettare le critiche. Facendo così, mi toglievo volutamente la possibilità di sottopormi a un giudizio critico e di conseguente crescita, migliorando nei settori in cui ero indubbiamente acerbo e inconsapevole: le problematiche sociali, ad esempio. Avrei potuto affrontarle con visione più ampia e sistematica, senza lasciarmi andare alla fantasia libera di un'analisi sempre personalissima.
Infine questa mia superbia, non correlata con realtà fuori dal mio io, finiva con il limitare inesorabilmente il mio campo di analisi, sempre lasciato a uno sterile personalismo.
Così rifiutavo anche la possibilità di farmi consigliare e guidare nelle letture di libri e di saggi di esperti: ho sempre letto molto, e quasi mai ho seguito i consigli di altri nella scelta dei miei testi. Ho letto soltanto quello che mi piaceva, e non quello che mi sarebbe stato utile.
In questo senso, la farina è stata sempre del mio sacco, mentre mi sarebbe stato utile anche trovare da altri sacchi, magari anche quelli pieni di crusca. Sarebbe stato per me comunque un sicuro arricchimento.
In classe eravamo la solita dozzina. Padre Mario ci assegnò come primo compito in classe un temino facile facile: -Le mie vacanze- o qualcosa del genere.Si fece consegnare i quaderni sui quali avevamo svolto l'esercizio, e ce li riportò il giorno dopo.
Quale non fu il mio stupore nel vedere il giudizio che riguardava il mio lavoro: "Speriamo che sia farina del tuo sacco!"
Da qui le mie ire. Abituato agli elogi e al trattamento soft della mia cara maestra Concetta delle elementari di Acuto, vedermi sbattere in faccia quella sentenza mi scottò come aver ricevuto addosso una pentola d'acqua bollente.
Ma come! Io che ero stato sempre così bravo e ricco d'inventiva e di fantasia! Preso dalla rabbia, vergai un controgiudizio bruciante sul quaderno, che certamente mi sarebbe costato caro. Per fortuna trovai il modo di tagliarlo, mutilando la pagina,
e credo spiegando più mitemente che era mio motivo di onore lavorare sempre e con impegno con le mie proprie forze.
Tutto si concluse bene, perché in breve padre Mario, già al mio secondo compito, si convinse pienamente che lavoravo di mio, e da allora si fidò ciecamente di me.
Mi sono sempre portato dietro questa superbia di essere bravo nello scrivere, questa mia assoluta mancanza di umiltà, di capacità di accettare le critiche. Facendo così, mi toglievo volutamente la possibilità di sottopormi a un giudizio critico e di conseguente crescita, migliorando nei settori in cui ero indubbiamente acerbo e inconsapevole: le problematiche sociali, ad esempio. Avrei potuto affrontarle con visione più ampia e sistematica, senza lasciarmi andare alla fantasia libera di un'analisi sempre personalissima.
Infine questa mia superbia, non correlata con realtà fuori dal mio io, finiva con il limitare inesorabilmente il mio campo di analisi, sempre lasciato a uno sterile personalismo.
Così rifiutavo anche la possibilità di farmi consigliare e guidare nelle letture di libri e di saggi di esperti: ho sempre letto molto, e quasi mai ho seguito i consigli di altri nella scelta dei miei testi. Ho letto soltanto quello che mi piaceva, e non quello che mi sarebbe stato utile.
In questo senso, la farina è stata sempre del mio sacco, mentre mi sarebbe stato utile anche trovare da altri sacchi, magari anche quelli pieni di crusca. Sarebbe stato per me comunque un sicuro arricchimento.
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