domenica 6 marzo 2011

Vita di collegio: 5. Le partite di pallone

Le vere partite di pallone, però, non erano tanto quelle sul piazzale della cattedrale,
consentite dal fatto che questa illustre chiesa del XII secolo si trova proprio al vertice di un colle separato dalla città di Anagni, quanto quelle che organizzavamo nel corso delle passeggiate primaverili, quando le giornate si allungavano.
La passeggiata, allora, si poteva prolungare anche per due ore, dalle 14 alle 16, e consentiva di allestire un campetto provisorio sulla strada di Acuto, dove non passavano mai macchine.
Ci disponevamo lungo una quarantina di metri, avendone dieci di larghezza. Ogni gruppo di collegiali, costituito da una classe, era formato da dodici ragazzi, che davano vita a due formazioni da sei. Una specie di calcetto. Scarpe normali, da passeggio. Ovviamente i calzoncini corti di sempre. Ma divertimento e passione supplivano a tutto.
I settanta seminaristi, dunque, si dividevano in cinque camerate di circa quattordici ragazzi, dalla prima media al quinto ginnasio. Ogni camerata era guidata dal suo prefetto, un giovane sacerdote appena sfornato dal grande Collegio Leoniano di Anagni, dove si completavano gli studi con tre anni di filosofia, corrispondenti al liceo classico, e con quattro anni di teologia, corrispondenti esattamente a un corso di laurea universitaria. I più bravi, a 23 anni, venivano consacrati sacerdoti e utilizzati come prefetti in seminario.
A pallone, però, si poteva giocare soltanto grazie alla comprensione di questi giovani sacerdoti, a noi particolarmente cari per la loro sensibilità e disponibilità. Ricordo con grande affetto il nostro, don Giuseppe Gessi, di Sgurgola, che dimostrò sempre nei nostri confronti amicizia, equilibrio e solidarietà.
Quando invece alle nostre passeggiate si univa il rettore, monsignor Giovanni Salina, che era decisamente più anziano e e severo, di pallone non si parlava neppure, bensì soltanto di problemi prevalentemente sociali e morali, e tutti dovevano adeguarsi alle circostanze. Ne guadagnavano sicuramente le nostre coscienze, e forse soprattutto le scarpe, che si risparmiavano le consuete rotture e deformazioni, alle quali poneva rimedio un calzolaio adibito esclusivamente a questo scopo, e che lavorava proficuamente proprio a ridosso del seminario.
O che seminario era, vi chiederete, dove si parlava solo di calcio, di passeggiate, di giochi e di ricreazione, e mai di religione?
Non è così. L'educazione religiosa veniva seguita minuziosamente. Ogni mattina alle 7 c'era la messa, in una cappella piccola e raccolta, con una ventina di lunghi banchi capaci di ospitare oltre cento persone, e noi eravamo al massimo ottanta. Sull'altare c'era una bellissima immagine dell'Immacolata, che si stampava nella nostra mente, e alla quale dedicavamo canti religiosi di una grande intensità e delicatezza.
Un padre spirituale e un padre confessore erano sempre a nostra disposizione per guidarci spiritualmente. Anche a sera, prima di cena, era prevista una funzione religiosa breve e intensa. Per la domenica e per le grandi feste erano previste prediche, sermoni, meditazioni, intensificati in tempo di quaresima.
Non c'è da stupirsi, quindi, se ragazzi di undici-diciotto anni, impegnati a lungo nello studio e nella preghiera, avessero poi bisogno di ampio sfogo nell'esercizio sportivo e nelle lunghe passeggiate.
Ogni dieci seminaristi, ne arrivava al sacerdozio in media uno. Di ottanta ragazzi, dunque, dopo un corso preparatorio di dodici anni, si poteva considerare una fortuna che almeno otto raggiungessero la consacrazione sacerdotale.
Però l'educazione del nostro seminario era così accurata ed equilibrata, che degli altri settanta raramente si è sentito parlar male nella vita sociale, e spesso invece si sono avute ottime risultanze culturali e morali.

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