Le prime avventure nel campo della grammatica latina furono molto divertenti. Non si contano gli strafalcioni di logica e di memoria: ci sembrava di compiere delle prodezze e ne uscivano fuori delle bestialità da farci sbellicare dalle risate, a cominciare dal severissimo monsignor Salina.
Un giorno il "rosso" Giuliani riuscì a confezionare questa perla di tre parole con due clamorosi errori: "I venti agitano il mare" diventò "Viginti agitant marem", dove venti era il numero pescato liscio liscio nel dizionarietto, e marem conteneva tutta la gioia di avere azzeccato la m finale dell'accusativo complemento oggetto, dimenticando che "mare" è neutro ed ha l'accusativo uguale al nominativo.
Però, pian piano che si andava crescendo, si acquisiva anche, da parte dei più svegli, l'esigenza del costrutto latino che sconvolgeva la forma italiana. Per esempio, invece di tradurre pari pari "l'odore della rosa solletica le narici della bella fanciulla", ormai mi veniva naturale tradurre "pulchrae puellae nares rosae odor captat".
Al che il buon Eugenio Cardinali di Porciano - correggevamo immediatamente dai banchi la traduzione - protestò contro l'insegnante, che guarda caso era il bravissimo don Francesco Cardinali, pure di Porciano, suo cugino tra l'altro - il quale se ne uscì in risposta con una frase che produsse un certo effetto: - Eh, figlio mio, questo è latino!- - Ma, professore, io non capisco niente. Può ripetere? - e il buon don Francesco spiegò pazientemente la costruzione, intentendo dire: o fai l'orecchio a costrutti di questo tipo, oppure ti conviene lasciar perdere, perché non è mestiere per te.
Tra un errore grossolano e l'altro, andavamo acquisendo - non tutti, per la verità - una discreta conoscenza della lingua morta, e monsignor Salina rafforzava le nostre conoscenze regalando ai più bravi i suoi famosi "tabacchini" regolarmente scritti nella lingua di Cicerone e di Orazio.
Ciascuno di noi era fornito della "Regia Parnassi", in cui erano contenute tutte le leggi della metrica e della prosodia latina, sillaba breve e sillaba lunga, verso alcaico e verso saffico, parametro ed esametro, distico elegiaco e via dicendo.
Anche don Lorenzo Fabrizi, il vicerettore, ci perseguitava con le sue incessanti esercitazioni. Andava dedicando a ciascuno di noi i suoi distici e noi dovevamo prenderli a modello. Ricordo che Luigi Fiaschetti diventava Aloysius Lagena, mentre a me dedicò un distico che mi fece arrossire perchè era davvero un bel complimento: - Ut reliquis vicis, Lodoix, dominatur Acutum... - come sugli altri paesi, Luigi, domina Acuto...- così tu eccelli su tutti gli altri compagni -
Venivo considerato una specie di fanciullo prodigio. Scrivevo poesie in italiano e in francese, traducevo perfettamente il latino. E pensare che non avevo neppure i libri di testo e mi arrampicavo facendomeli prestare ai miei compagni.
I miei superiori cominciavano a coltivare buone speranze su di me, pur cercando di non farmelo capire perché avrei potuto insuperbirmi. Già in seminario circolava il detto: "Superbia acutina, invidia anagnina...", perché i ragazzi di Acuto, forse perché venivano dalla montagna, sembravano i più vivi e intelligenti: si sa che le difficoltà aguzzanno l'ingegno. E a chi era più ricco e più agiato, non restava che l'invidia.
Un giorno il "rosso" Giuliani riuscì a confezionare questa perla di tre parole con due clamorosi errori: "I venti agitano il mare" diventò "Viginti agitant marem", dove venti era il numero pescato liscio liscio nel dizionarietto, e marem conteneva tutta la gioia di avere azzeccato la m finale dell'accusativo complemento oggetto, dimenticando che "mare" è neutro ed ha l'accusativo uguale al nominativo.
Però, pian piano che si andava crescendo, si acquisiva anche, da parte dei più svegli, l'esigenza del costrutto latino che sconvolgeva la forma italiana. Per esempio, invece di tradurre pari pari "l'odore della rosa solletica le narici della bella fanciulla", ormai mi veniva naturale tradurre "pulchrae puellae nares rosae odor captat".
Al che il buon Eugenio Cardinali di Porciano - correggevamo immediatamente dai banchi la traduzione - protestò contro l'insegnante, che guarda caso era il bravissimo don Francesco Cardinali, pure di Porciano, suo cugino tra l'altro - il quale se ne uscì in risposta con una frase che produsse un certo effetto: - Eh, figlio mio, questo è latino!- - Ma, professore, io non capisco niente. Può ripetere? - e il buon don Francesco spiegò pazientemente la costruzione, intentendo dire: o fai l'orecchio a costrutti di questo tipo, oppure ti conviene lasciar perdere, perché non è mestiere per te.
Tra un errore grossolano e l'altro, andavamo acquisendo - non tutti, per la verità - una discreta conoscenza della lingua morta, e monsignor Salina rafforzava le nostre conoscenze regalando ai più bravi i suoi famosi "tabacchini" regolarmente scritti nella lingua di Cicerone e di Orazio.
Ciascuno di noi era fornito della "Regia Parnassi", in cui erano contenute tutte le leggi della metrica e della prosodia latina, sillaba breve e sillaba lunga, verso alcaico e verso saffico, parametro ed esametro, distico elegiaco e via dicendo.
Anche don Lorenzo Fabrizi, il vicerettore, ci perseguitava con le sue incessanti esercitazioni. Andava dedicando a ciascuno di noi i suoi distici e noi dovevamo prenderli a modello. Ricordo che Luigi Fiaschetti diventava Aloysius Lagena, mentre a me dedicò un distico che mi fece arrossire perchè era davvero un bel complimento: - Ut reliquis vicis, Lodoix, dominatur Acutum... - come sugli altri paesi, Luigi, domina Acuto...- così tu eccelli su tutti gli altri compagni -
Venivo considerato una specie di fanciullo prodigio. Scrivevo poesie in italiano e in francese, traducevo perfettamente il latino. E pensare che non avevo neppure i libri di testo e mi arrampicavo facendomeli prestare ai miei compagni.
I miei superiori cominciavano a coltivare buone speranze su di me, pur cercando di non farmelo capire perché avrei potuto insuperbirmi. Già in seminario circolava il detto: "Superbia acutina, invidia anagnina...", perché i ragazzi di Acuto, forse perché venivano dalla montagna, sembravano i più vivi e intelligenti: si sa che le difficoltà aguzzanno l'ingegno. E a chi era più ricco e più agiato, non restava che l'invidia.
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