Quanti ammiratori aveva, nel nostro seminario, il grande Torino, vincitore di quattro scudetti consecutivi tra il 1945 e il 1948! Il calcio veniva seguito con grande interesse, era uno dei legami più forti che avevamo con l'esterno: Bacigalupo; Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Chi non conosceva a memoria quella magnifica formazione?
C'era qualche tifoso anche della Roma, qualcuno anche della Juventus, del Milan e dell'Inter; e poi c'ero io, che non accettavo asssolutamente il facile trionfo della grande classe, e mi accanivo a tifare Lazio, che allora veleggiava nelle ultime posizioni della graduatoria. Io dicevo: sono nato nel Lazio, dunque sono per natura laziale, e non accettavo i troppo facili trionfi dei meravigliosi granata. - Accetto tutto - dicevo - ma non le troppo facili vittorie del primo della classe -
E giù discussioni, specialmente nelle nostre passeggiate pomeridiane. Finché un brutto giorno il nostro caro prefetto don Giuseppe Gessi di Sgurgola, piccolo piccolo, umile umile, ma con un cuore grande così e da noi tutti tanto amato, si accosta a noi, e rivolto a me in particolare fa: -Sei contento, adesso? Il grande Torino non esiste più - E con voce commossa ci raccontò i particolari di quella grande sventura: era il 4 maggio 1948, e di ritorno da una amichevole a Lisbona con il Benfica, l'aereo del Torino, con giocatori, dirigenti e giornalisti a bordo, 31 persone in tutto, si schiantò nella fitta nebbia sulla collina di Superga, alle 5 della sera, quando era ormai a un passo da casa.
Chi non volle piangere non pianse, a quella notizia così tragica. Io piansi, ribelle alla supremazia granata, ma anche alla sua fine, così inaccettabile. Da allora, nel mio cuore, c'è stato spazio anche per quel colore che mi ricorda la sventura.
Noi seminaristi amavamo profondamente lo sport. Si può dire che fosse la nostra passione più cocente. Qualche seminarista coltivava nel suo intimo anche una passione amorosa, finché non esplodeva in modo clamoroso e portava fatalmente alla fine di una vocazione, forse, ma sicuramente alla cacciata dal seminario. Ma, tra le passioni consentite, quella del calcio era veramente la più forte e veniva accettata anche dai nostri superiori. Non dai più anziani come il rettore Salina, ma sicuramente dai più giovani come don Giuseppe Gessi, che nello sport trovava un validissimo aiuto per la nostra educazione e formazione.
Di questo umile e giovane prete mi ero dimenticato perfino il nome, ma nel vergare queste memorie esso è riaffiorato in modo prepotente, portandosi dietro una stima infinita da parte mia, per la delicatezza con cui seguì la mia crisi e la mia decisione di lasciare il seminario.
La passione per lo sport, comunque, era diventata tale che approfittavamo di ogni minima occasione e circostanza per recarci in piazza, nel centro di Anagni, ad acquistare il Corriere dello sport, dove campeggiavano le firme di Bruno Roghi e di Giuseppe Melillo; e ancora di più il Calcio Illustrato e lo Sport Illustrato, per trovarvi le foto delle nostre squadre e le classifiche dei migliori giocatori per ruolo.
Così, oltre a quella del grande Torino, imparai a memoria anche la formazione della mia piccola Lazio, che però da quell'anno cominciò a diventare grandicella e conquistò un bel quarto posto : Sentimenti IV; Antonazzi, Furiassi; Alzani, Remondini, Sentimenti III; Puccinelli, Magrini, Hofling, Cecconi, Nyers II.
Ora non ricordo più quanto venissero a costarci il quotidiano e il settimanale sportivo, probabilmente mezza lira o una lira, comunque gran parte dei nostri piccoli risparmi personali, che venivano utilizzati tutti nelle spese di cartoline, francobolli, quaderni, penne, matite e album da disegno.
Non ci passava neanche in mente di fare altro tipo di spese, se non talvolta un grappolo d'uva o una pesca.
C'era qualche tifoso anche della Roma, qualcuno anche della Juventus, del Milan e dell'Inter; e poi c'ero io, che non accettavo asssolutamente il facile trionfo della grande classe, e mi accanivo a tifare Lazio, che allora veleggiava nelle ultime posizioni della graduatoria. Io dicevo: sono nato nel Lazio, dunque sono per natura laziale, e non accettavo i troppo facili trionfi dei meravigliosi granata. - Accetto tutto - dicevo - ma non le troppo facili vittorie del primo della classe -
E giù discussioni, specialmente nelle nostre passeggiate pomeridiane. Finché un brutto giorno il nostro caro prefetto don Giuseppe Gessi di Sgurgola, piccolo piccolo, umile umile, ma con un cuore grande così e da noi tutti tanto amato, si accosta a noi, e rivolto a me in particolare fa: -Sei contento, adesso? Il grande Torino non esiste più - E con voce commossa ci raccontò i particolari di quella grande sventura: era il 4 maggio 1948, e di ritorno da una amichevole a Lisbona con il Benfica, l'aereo del Torino, con giocatori, dirigenti e giornalisti a bordo, 31 persone in tutto, si schiantò nella fitta nebbia sulla collina di Superga, alle 5 della sera, quando era ormai a un passo da casa.
Chi non volle piangere non pianse, a quella notizia così tragica. Io piansi, ribelle alla supremazia granata, ma anche alla sua fine, così inaccettabile. Da allora, nel mio cuore, c'è stato spazio anche per quel colore che mi ricorda la sventura.
Noi seminaristi amavamo profondamente lo sport. Si può dire che fosse la nostra passione più cocente. Qualche seminarista coltivava nel suo intimo anche una passione amorosa, finché non esplodeva in modo clamoroso e portava fatalmente alla fine di una vocazione, forse, ma sicuramente alla cacciata dal seminario. Ma, tra le passioni consentite, quella del calcio era veramente la più forte e veniva accettata anche dai nostri superiori. Non dai più anziani come il rettore Salina, ma sicuramente dai più giovani come don Giuseppe Gessi, che nello sport trovava un validissimo aiuto per la nostra educazione e formazione.
Di questo umile e giovane prete mi ero dimenticato perfino il nome, ma nel vergare queste memorie esso è riaffiorato in modo prepotente, portandosi dietro una stima infinita da parte mia, per la delicatezza con cui seguì la mia crisi e la mia decisione di lasciare il seminario.
La passione per lo sport, comunque, era diventata tale che approfittavamo di ogni minima occasione e circostanza per recarci in piazza, nel centro di Anagni, ad acquistare il Corriere dello sport, dove campeggiavano le firme di Bruno Roghi e di Giuseppe Melillo; e ancora di più il Calcio Illustrato e lo Sport Illustrato, per trovarvi le foto delle nostre squadre e le classifiche dei migliori giocatori per ruolo.
Così, oltre a quella del grande Torino, imparai a memoria anche la formazione della mia piccola Lazio, che però da quell'anno cominciò a diventare grandicella e conquistò un bel quarto posto : Sentimenti IV; Antonazzi, Furiassi; Alzani, Remondini, Sentimenti III; Puccinelli, Magrini, Hofling, Cecconi, Nyers II.
Ora non ricordo più quanto venissero a costarci il quotidiano e il settimanale sportivo, probabilmente mezza lira o una lira, comunque gran parte dei nostri piccoli risparmi personali, che venivano utilizzati tutti nelle spese di cartoline, francobolli, quaderni, penne, matite e album da disegno.
Non ci passava neanche in mente di fare altro tipo di spese, se non talvolta un grappolo d'uva o una pesca.