mercoledì 20 aprile 2011

Vita di collegio: 28. Una stagione in Siberia

Un anno, per la ristrutturazione delle camerate, fummo costretti per oltre tre mesi a emigrare...in Siberia. Così si chiamava l'enorme soffitta sottotetto, vasta quanto tutto il palazzo, gelida appunto come la steppa siberiana. I finestroni furono tappati in emergenza, ma il freddo rimaneva penetrante.
Comunque, le generazioni di allora - sono passati più di sessant'anni - erano veramente temprate, impianti di riscaldamento non ce n'erano, e con l'ausilio di coperte e sopracoperte riuscimmo a sopravvivere.
Per fortuna la maggior parte della giornata la trascorrevamo in altri ambienti, per lo più assolati, in quanto la stagione fu relativamente mite. Ma si andava dal caldo del refettorio, al mezzanino, al tepore del grande studio, al gelo della Siberia. Temprati a tutti i climi. Della nostra salute, del resto, il rettore don Salina e gli altri responsabili si preoccupavano con affetto paterno. Ricordo con particolare gratitudine un episodio che mi riguardava: a pranzo avevamo come secondo una porzione di pesce azzurro, e nella fretta d'inghiottirlo una piccola lisca mi rimase di traverso per la gola. Cominciai a tossire con insistenza, e monsignore, preoccupato, mi portò in cortile, dove potevo tossire liberamente, e mi tenne il polso controllando il battito cardiaco. Per fortuna tutto finì in pochi minuti, e riuscii a mandar giù la fastidiosa lisca senza alcuna complicazione, bevendo acqua in quantità. E pensare che nella mia mente io ritenevo monsignor Salina un poco intollerante nei miei confronti per via dei precedenti negativi dei miei due fratelli maggiori.
Ero in piena fase di sviluppo, e il nostro medico curante,  il dottor Gemignani, si rese conto che avevo bisogno di un sostegno nella crescita. Mi ordinò così un paio d'iniezioni settimanali da effettuare nel suo studio che era proprio al centro di Anagni, vicino alla bellissima galleria comunale formata da un arco ellittico risalente al XIII secolo. Un sacerdote mi accompagnava ogni volta, e spesso era proprio monsignor Salina.
Non ero cagionevole di salute, e quelle iniezioni mi fecero bene e favorirono il mio sviluppo. Ricordo anche che ero costretto a bere ogni mattina un uovo fresco, che non mi piaceva affatto, ma che i buoni preti mi costringevano paternamente ad ingoiare. Certamente un padre non avrebbe potuto fare di meglio, anche perché erano tempi avversi e la mia famiglia risentiva pesantemente della perdita di mio padre.
Così, anche la stagione in Siberia ebbe termine. Tornammo tutti felici nelle nostre camerate rimesse a nuovo, e tuttavia un po' eravamo anche orgogliosi di poter dire: abbiamo affrontato il freddo siberiano, il nostro fisico e il nostro carattere ne sono usciti sicuramente temprati.
Per molti di noi, ad ogni modo, la vita in collegio era senz'altro più agevole e comoda rispetto alla vita che avremmo potuto condurre nelle nostre case, in un periodo così duro e travagliato come fu quello dei secondi anni quaranta.



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