Proprio accanto al seminario, ad angolo su una vasta piazza al centro della quale era il maestoso campanile romanico, c'è la cattedrale di Anagni, il cui pavimento è costituito interamente da un armonioso mosaico risalente al 1100. Una vera perla dell'arte, con archi maestosi e una cripta interamente affrescata, di epoca anche più antica.
I nostri rapporti con la cattedrale erano frequenti. I nostri dirigenti facevano parte del gruppo di canonici, circa una dozzina, addetti al culto e alle cerimonie del grande tempio. Questi avevano tutti cominciato il loro percorso nel nostro seminario, e con esso avevano rapporti stretti a affettuosi.
Del resto, anche il Vescovo di Anagni aveva un punto fermo nel nostro seminario. Nei quattro anni in cui io ci sono vissuto, due furono i vescovi della diocesi anagnina, monsignor Adinolfi di Albano e monsignor Piasentini di Venezia. Due caratteri opposti: umile e mite il primo, energico e sicuro di sé il presule veneto.
Noi ragazzi riuscivamo a percepire chiaramente questa differenza. Il vecchio monsignor Attilio Adinolfi era stato sempre discreto e riservato, la sua presenza non era stata mai invasiva.
Il vescovo veneziano, giovane e dinamico, era già stato preceduto da una fama di uomo desideroso di conquistare un ruolo importante nella gerarchia. Aveva portato con sé, dal Veneto, anche dei giovani sacerdoti di sua fiducia, e uno di essi, di nome Albino Bilibìo, venne a fare il prefetto da noi, e il suo carattere puntiglioso lo pose presto in contrasto e in antagonismo con noi.
Grazie al caratteraccio di don Albino Bilibìo cominciò una serie di piccoli contrasti che tolse un po' della serenità ed armonia che regnava tra noi.
Comunque il vescovo Giovanni Battista Piasentini, che arrivò ad Anagni nel 1947, fu accolto nella nostra diocesi con solennità e grandissime feste. Lui amava le grandi adunate, alle quali invece il vescovo Adinolfi era stato quasi estraneo.
Un titolo di origine medioevale legava Acuto al vescovo di Anagni, che era presentato come "Acuti dominus", "Signore di Acuto", una vera e propria signoria feudale ancora esistente sulla carta. La Chiesa di Santa Maria Assunta di Acuto aveva per questo il ruolo di cattedrale.
Monsignor Piasentini volle subito sottolineare il significato di questo titolo, e fra i suoi primi atti vi fu l'organizzazione di una manifestazione oceanica. Il vescovo, con almeno duemila persone che affollavano il borgo in tutta la sua lunghezza di trecento metri, fino all'edificio scolastico sullo sfondo, chiese di poter disporre della grande balconata del Castello, di proprietà dei conti Giannuzzi Savelli, per una grande omelia, nel corso della quale se ne uscì quasi con un grido di richiamo: "Acutini! Ricordatevi dei vostri obblighi morali!" Quel grido mi sorprese profondamente. Intanto perchè in dialetto ci chiamavamo "autìsi", mentre la versione italiana era del tutto ignorata. Poi quel grido aveva come l'eco di un'idea di possesso in contrasto con le idee di libertà che in quegli anni tutti consideravamo evidentemente come nostre, dopo tanti anni di oppressione.
C'era una certa linea di separazione, tra noi e il nostro autoritario vescovo veneziano. Sembrava di avere tra noi un piccolo doge. E la presenza di quell'Albino Bilibìo era avvertita da noi quasi come la presenza di un estraneo che avesse il compito di controllarci all'interno del seminario.
I nostri rapporti con la cattedrale erano frequenti. I nostri dirigenti facevano parte del gruppo di canonici, circa una dozzina, addetti al culto e alle cerimonie del grande tempio. Questi avevano tutti cominciato il loro percorso nel nostro seminario, e con esso avevano rapporti stretti a affettuosi.
Del resto, anche il Vescovo di Anagni aveva un punto fermo nel nostro seminario. Nei quattro anni in cui io ci sono vissuto, due furono i vescovi della diocesi anagnina, monsignor Adinolfi di Albano e monsignor Piasentini di Venezia. Due caratteri opposti: umile e mite il primo, energico e sicuro di sé il presule veneto.
Noi ragazzi riuscivamo a percepire chiaramente questa differenza. Il vecchio monsignor Attilio Adinolfi era stato sempre discreto e riservato, la sua presenza non era stata mai invasiva.
Il vescovo veneziano, giovane e dinamico, era già stato preceduto da una fama di uomo desideroso di conquistare un ruolo importante nella gerarchia. Aveva portato con sé, dal Veneto, anche dei giovani sacerdoti di sua fiducia, e uno di essi, di nome Albino Bilibìo, venne a fare il prefetto da noi, e il suo carattere puntiglioso lo pose presto in contrasto e in antagonismo con noi.
Grazie al caratteraccio di don Albino Bilibìo cominciò una serie di piccoli contrasti che tolse un po' della serenità ed armonia che regnava tra noi.
Comunque il vescovo Giovanni Battista Piasentini, che arrivò ad Anagni nel 1947, fu accolto nella nostra diocesi con solennità e grandissime feste. Lui amava le grandi adunate, alle quali invece il vescovo Adinolfi era stato quasi estraneo.
Un titolo di origine medioevale legava Acuto al vescovo di Anagni, che era presentato come "Acuti dominus", "Signore di Acuto", una vera e propria signoria feudale ancora esistente sulla carta. La Chiesa di Santa Maria Assunta di Acuto aveva per questo il ruolo di cattedrale.
Monsignor Piasentini volle subito sottolineare il significato di questo titolo, e fra i suoi primi atti vi fu l'organizzazione di una manifestazione oceanica. Il vescovo, con almeno duemila persone che affollavano il borgo in tutta la sua lunghezza di trecento metri, fino all'edificio scolastico sullo sfondo, chiese di poter disporre della grande balconata del Castello, di proprietà dei conti Giannuzzi Savelli, per una grande omelia, nel corso della quale se ne uscì quasi con un grido di richiamo: "Acutini! Ricordatevi dei vostri obblighi morali!" Quel grido mi sorprese profondamente. Intanto perchè in dialetto ci chiamavamo "autìsi", mentre la versione italiana era del tutto ignorata. Poi quel grido aveva come l'eco di un'idea di possesso in contrasto con le idee di libertà che in quegli anni tutti consideravamo evidentemente come nostre, dopo tanti anni di oppressione.
C'era una certa linea di separazione, tra noi e il nostro autoritario vescovo veneziano. Sembrava di avere tra noi un piccolo doge. E la presenza di quell'Albino Bilibìo era avvertita da noi quasi come la presenza di un estraneo che avesse il compito di controllarci all'interno del seminario.
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