Il vicerettore don Lorenzo Fabrizi, benemerito per tante capacità educative, maestro emerito di francese, nostro educatore di musica e canto, si presentò a noi, già al primo anno, come uno spietato insegnante.
A quei tempi, molte nozioni venivano apprese a forza di memoria, in maniera così pesante e punitiva che noi credemmo si trattasse di uno scherzo.
Un bel mattino don Lorenzo, probabilmente nervoso per suoi problemi, ci assegnò come compito per il giorno successivo un centinaio di versi a memoria del primo canto dell'Iliade. "Cantami, o Diva, del Pelide Achille/ l'ira funesta, che infiniti addusse/ lutti agli Achei..."
Avrà voluto scherzare? ci chiedemmo tutti. E tutta la classe, unanimemente, decise di soprassedere.
Quale non fu la nostra dolorosa meraviglia quando, il giorno dopo, ci interrogò uno dopo l'altro - eravamo la solita maledetta dozzina - e di fronte al generale silenzio ci affibbiò un bel due sul registro.
La tenacia di don Lorenzo fu tale che quando, alcuni mesi dopo, vennero distribuite le pagelle trimestrali, ci ritrovammo tutti e dodici con un bel due in italiano orale, malgrado avessimo sostenuto altre interrogazioni. Io, ad esempio, avevo otto in italiano scritto e due in italiano orale.
Da quel momento nessuno osò più saltare una sola interrogazione a memoria: va detto, tuttavia, che don Lorenzo si accorse di aver esagerato, e invece di cento versi si limitò solo a una cinquantina.
Ricordo che l'estate successiva, quando andai in vacanza ad Acuto, mostrai la mia pagella al parroco don Filippo, un omone gigantesco dal carattere bonario, ma spesso puntiglioso, e rimase orripilato
quando, in mezzo a un mare di sette e otto, vide quel voto così disastroso. - Due? due? - si chiedeva quasi smarrito. - Come si fa a prendere otto allo scritto e due in orale? -
Gli dovetti spiegare, con santa pazienza, che si era trattato di un infortunio generale e sicuramente di una punizione meritata ed esemplare, e allora si calmò.
In realtà, a quei tempi, si era soliti imparare a memoria poesie e perfino brani di prosa aulica come i famosi "Addio monti" e "Scendeva dalla soglia" manzoniani, oltre a "quel ramo del lago di Como", ma la quantità era modica, al massimo una trentina di versi o di righe. Evidentemente don Lorenzo voleva farci capire che dovevamo fare di più: da qui il lato vessatorio della sua richiesta, la nostra ribellione e la durissima punizione.
Eppure, di don Lorenzo Fabrizi mi rimane un ottimo ricordo di perfetto educatore. Ho già fatto rilevare in altra occasione come il migliore elogio che potesse fare era di dirti: -Hai fatto un solo errore- senza nemmeno spiegarti quale: eri tu che dovevi sforzarti di capire, in modo che ti restasse bene in mente e non lo ripetessi più.
In realtà don Lorenzo non aveva compiuto studi in seminario, ma proveniva da un ordine religioso francese ed aveva chiesto di essere aggregato al seminario vescovile proprio in qualità di educatore,
mantenendo una sua impronta particolarmente rigida, per quanto mitigata da eccellenti qualità umane.
A quei tempi, molte nozioni venivano apprese a forza di memoria, in maniera così pesante e punitiva che noi credemmo si trattasse di uno scherzo.
Un bel mattino don Lorenzo, probabilmente nervoso per suoi problemi, ci assegnò come compito per il giorno successivo un centinaio di versi a memoria del primo canto dell'Iliade. "Cantami, o Diva, del Pelide Achille/ l'ira funesta, che infiniti addusse/ lutti agli Achei..."
Avrà voluto scherzare? ci chiedemmo tutti. E tutta la classe, unanimemente, decise di soprassedere.
Quale non fu la nostra dolorosa meraviglia quando, il giorno dopo, ci interrogò uno dopo l'altro - eravamo la solita maledetta dozzina - e di fronte al generale silenzio ci affibbiò un bel due sul registro.
La tenacia di don Lorenzo fu tale che quando, alcuni mesi dopo, vennero distribuite le pagelle trimestrali, ci ritrovammo tutti e dodici con un bel due in italiano orale, malgrado avessimo sostenuto altre interrogazioni. Io, ad esempio, avevo otto in italiano scritto e due in italiano orale.
Da quel momento nessuno osò più saltare una sola interrogazione a memoria: va detto, tuttavia, che don Lorenzo si accorse di aver esagerato, e invece di cento versi si limitò solo a una cinquantina.
Ricordo che l'estate successiva, quando andai in vacanza ad Acuto, mostrai la mia pagella al parroco don Filippo, un omone gigantesco dal carattere bonario, ma spesso puntiglioso, e rimase orripilato
quando, in mezzo a un mare di sette e otto, vide quel voto così disastroso. - Due? due? - si chiedeva quasi smarrito. - Come si fa a prendere otto allo scritto e due in orale? -
Gli dovetti spiegare, con santa pazienza, che si era trattato di un infortunio generale e sicuramente di una punizione meritata ed esemplare, e allora si calmò.
In realtà, a quei tempi, si era soliti imparare a memoria poesie e perfino brani di prosa aulica come i famosi "Addio monti" e "Scendeva dalla soglia" manzoniani, oltre a "quel ramo del lago di Como", ma la quantità era modica, al massimo una trentina di versi o di righe. Evidentemente don Lorenzo voleva farci capire che dovevamo fare di più: da qui il lato vessatorio della sua richiesta, la nostra ribellione e la durissima punizione.
Eppure, di don Lorenzo Fabrizi mi rimane un ottimo ricordo di perfetto educatore. Ho già fatto rilevare in altra occasione come il migliore elogio che potesse fare era di dirti: -Hai fatto un solo errore- senza nemmeno spiegarti quale: eri tu che dovevi sforzarti di capire, in modo che ti restasse bene in mente e non lo ripetessi più.
In realtà don Lorenzo non aveva compiuto studi in seminario, ma proveniva da un ordine religioso francese ed aveva chiesto di essere aggregato al seminario vescovile proprio in qualità di educatore,
mantenendo una sua impronta particolarmente rigida, per quanto mitigata da eccellenti qualità umane.
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