lunedì 11 aprile 2011

Vita di collegio: 24. La marcia cattolica su Roma

Era il 1948, si stava preparando il 18 aprile, uno scontro frontale, sul piano elettorale, fra il blocco di sinistra, comunisti e socialisti, e la Democrazia Cristiana. Una lotta veramente a fondo: si parlava del grande tentativo comunista di aggregare anche l'Italia al blocco orientale, ai paesi della cortina di ferro.
Nel mondo cattolico, questa fu avvertita come una minaccia seria, e si reagì in tutti i modi. Fu una Guerra Santa. Anche in seminario circolavano liberamente manifestini e volantini, chiaramente da far pervenire in qualche modo anche ai nostri parenti durante le visite, oppure per via epistolare. Il Fronte Democratico Popolare era chiamato Fro.de.pop., frode del popolo. Un manifestino particolarmente significativo, e che tutti ricordano, era quello di Giuseppe Garibaldi dentro una grande stella a cinque punte, ma bastava girarlo dall'alto in basso per riconoscervi invece la fiera e tracotante immagine di un altro Giuseppe: Stalin.
Si rispondeva con una propaganda anticlericale ad altissimo livello: banche vaticane al centro di enormi scandali, e volantini non meno virulenti, dove il clero era ritratto in brutte faccende affaccendato.
L'Azione Cattolica di Luigi Gedda rispose organizzando una vera e propria marcia su Roma verso i primi del mese di aprile. Anche i giovani seminaristi come noi furono ingaggiati per una grandiosa sfilata in notturna di baschi verdi, che, sospinta dalla marcia paramilitare "Qual falange di Cristo Redentore", attraversò tutta Roma, partendo dalla Fontana delle Najadi in Piazza della Repubblica, e passando per Via Nazionale, Piazza Venezia e Corso Vittorio si presentò fino a Piazza San Pietro sotto le finestre di Pio XII, quello delle "mani lorde di sangue", ai Palazzi Vaticani.
A un certo punto, in Via Nazionale, all'altezza del Teatro Eliseo, mentre eravamo spinti da sacro furore, cantando a squarciagola "la gioventù cattolica in cammino,/ la sua forza è lo spirito divino.../
Santo Padre, che da Roma/ ci dai forza, luce e guida,/ in ciascun di noi confida,/ su noi tutti puoi contar.../, mi sento chiamare da una voce familiare. Era mio fratello maggiore Vito, io non avevo ancora quattordici anni e lui ne aveva quasi ventisei, io ero ovviamente cattolico e mio fratello era socialista, e faceva parte dell'altro blocco. Per me poteva rappresentare una specie di diavolo, ma ci volevamo bene e ci salutammo affettuosamente, abbracciandoci e baciandoci, e poi fui costretto a rincorrere i miei amici e compagni che si erano già allontanati di un bel po'.
Sapete tutti come andò a finire. I cattolici fecero blocco, aiutati tangibilmente dagli Stati Uniti che vedevano a tinte fosche una possibile espansione del Blocco Sovietico che con Tito era già padrone di Trieste. Fu un trionfo elettorale così netto da far capire che l'Italia non sarebbe mai andata da quella parte, neanche quando Aldo Moro aprì alla sinistra, trent'anni dopo.
Ma erano anni tremendi, anni ancora di fame e di lotta, e nessuno poteva immaginare come sarebbe andata a finire.



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