Tra le ore di lezione scolastica, uno spazio importante aveva anche l'ora di musica. Ovviamente, l'avvio al sacerdozio comprende anche l'educazione al canto religioso: la messa in latino, il canto gregoriano, gli inni religiosi, le canzoni sacre in italiano che concludono le funzioni serali. La musica ha veramente una grande importanza nella formazione di un sacerdote.
Così, una volta la settimana, veniva nelle nostre classi un maestro laico, da noi molto amato: Paolo D'Avolio. Era lo stesso che dirigeva il grande coro della Cattedrale, una "schola cantorum" di notevoli dimensioni, una quarantina di elementi di elevatissima qualità.
Per noi ragazzini, perciò, era un vero onore il fatto di avere lezioni da un maestro così bravo. Aveva i capelli interamente bianchi, anche se la sua età non era poi tanto avanzata: sì e no raggiungeva i cinquant'anni. La nostra ambizione era quella di poter far parte, chissà, della sua magnifica corale: qualche volta succedeva.
Il maestro D'Avolio aveva una grandissima pazienza. C'insegnava il solfeggio, intonava la voce di ogni singolo, la correggeva, ci seguiva anche sul piano collettivo, e dopo una decina di lezioni ogni classe era capace di dar vita a un piccolo coro di una dozzina di persone, con risultati apprezzabili.
Il maestro voleva conoscere le capacità e le possibilità di ogni singolo. L'esercizio personale consisteva in un paio di minuti di solfeggio sul pentagramma o sul canto gregoriano, e nell'esecuzione di una canzone quasi sempre in lingua latina. Ogni ragazzo cantava, e gli altri ascoltavano con attenzione, pronti a rilevare gli eventuali errori. Ricordo che una volta il maestro D'Avolio mi chiamò, si pose vicino al mio banco col suo libro di musica, e mi fece eseguire, dopo il solfeggio, il bellissimo canto latino "O esca viatorum, o panis angelorum". Il maestro apprezzò molto non tanto il mio filo di voce, quanto l'intonazione molto delicata e armoniosa, e mi disse: - Ma tu hai già studiato canto! - Io risposi che non lo avevo mai fatto. E ricordo anche che durante l'esecuzione i miei compagni si erano commossi, e uno di essi, Lanzi di Porciano, aveva le lacrime agli occhi, anche se era un bestione grande così.
Il maestro D'Avolio era l'erede di Luigi Colacicchi, un grande maestro di musica anagnino la cui corale era famosa in tutta Italia, ed era un ricercatore di musica folk; fu lui che scoprì la bellissima canzone ciociara "Aridamme lu fazzolettino" resa famosa da Yves Montand, l'oriundo lucchese Ivo Livi.
All'interno del collegio curava invece la nostra voce il vicedirettore don Lorenzo Fabrizi, di Sgurgola, bravissimo all'harmonium: ci selezionava con cura, formava piccoli cori, ci esercitava in brevi composizioni liriche. Una di queste: "Margheritine, anemoni, nontiscordardimé" richiese tutta la sua pazienza, era a due voci di giovanissimi, di cui la seconda, di "contralto", richiedeva un po' di fiato in più, e lui non riusciva ad averlo da me e dall'amico Riccardo Filippi, e s'inquietava moltissimo.
Le canzoni religiose avevano una parte importante nelle nostre funzioni religiose, specialmente quelle della sera, del "vespro", verso le ore diciotto, tutte dedicate alla Vergine. Ce n'erano di così delicate e commoventi da riempire la nostra anima di sentimenti alti. "Quando ripenso a te, Madonna bella / intorno intorno il mondo si scolora. / Tace un istante il vento e la procella, / scordo un istante questa morta gora. / E mi ti affacci qual tremula stella..."
E un'altra: " Stella del mare, che il tuo mite raggio / volgi sopra l'orror della bufera..."
Questi erano forse i momenti in cui la nostra anima più si elevava, e il bellissimo quadro dell'Immacolata che avevamo in cappella ispirava in noi alti e nobili sentimenti d'amore, esaltando la Vergine come
la donna più pura e grande della storia umana.
Così, una volta la settimana, veniva nelle nostre classi un maestro laico, da noi molto amato: Paolo D'Avolio. Era lo stesso che dirigeva il grande coro della Cattedrale, una "schola cantorum" di notevoli dimensioni, una quarantina di elementi di elevatissima qualità.
Per noi ragazzini, perciò, era un vero onore il fatto di avere lezioni da un maestro così bravo. Aveva i capelli interamente bianchi, anche se la sua età non era poi tanto avanzata: sì e no raggiungeva i cinquant'anni. La nostra ambizione era quella di poter far parte, chissà, della sua magnifica corale: qualche volta succedeva.
Il maestro D'Avolio aveva una grandissima pazienza. C'insegnava il solfeggio, intonava la voce di ogni singolo, la correggeva, ci seguiva anche sul piano collettivo, e dopo una decina di lezioni ogni classe era capace di dar vita a un piccolo coro di una dozzina di persone, con risultati apprezzabili.
Il maestro voleva conoscere le capacità e le possibilità di ogni singolo. L'esercizio personale consisteva in un paio di minuti di solfeggio sul pentagramma o sul canto gregoriano, e nell'esecuzione di una canzone quasi sempre in lingua latina. Ogni ragazzo cantava, e gli altri ascoltavano con attenzione, pronti a rilevare gli eventuali errori. Ricordo che una volta il maestro D'Avolio mi chiamò, si pose vicino al mio banco col suo libro di musica, e mi fece eseguire, dopo il solfeggio, il bellissimo canto latino "O esca viatorum, o panis angelorum". Il maestro apprezzò molto non tanto il mio filo di voce, quanto l'intonazione molto delicata e armoniosa, e mi disse: - Ma tu hai già studiato canto! - Io risposi che non lo avevo mai fatto. E ricordo anche che durante l'esecuzione i miei compagni si erano commossi, e uno di essi, Lanzi di Porciano, aveva le lacrime agli occhi, anche se era un bestione grande così.
Il maestro D'Avolio era l'erede di Luigi Colacicchi, un grande maestro di musica anagnino la cui corale era famosa in tutta Italia, ed era un ricercatore di musica folk; fu lui che scoprì la bellissima canzone ciociara "Aridamme lu fazzolettino" resa famosa da Yves Montand, l'oriundo lucchese Ivo Livi.
All'interno del collegio curava invece la nostra voce il vicedirettore don Lorenzo Fabrizi, di Sgurgola, bravissimo all'harmonium: ci selezionava con cura, formava piccoli cori, ci esercitava in brevi composizioni liriche. Una di queste: "Margheritine, anemoni, nontiscordardimé" richiese tutta la sua pazienza, era a due voci di giovanissimi, di cui la seconda, di "contralto", richiedeva un po' di fiato in più, e lui non riusciva ad averlo da me e dall'amico Riccardo Filippi, e s'inquietava moltissimo.
Le canzoni religiose avevano una parte importante nelle nostre funzioni religiose, specialmente quelle della sera, del "vespro", verso le ore diciotto, tutte dedicate alla Vergine. Ce n'erano di così delicate e commoventi da riempire la nostra anima di sentimenti alti. "Quando ripenso a te, Madonna bella / intorno intorno il mondo si scolora. / Tace un istante il vento e la procella, / scordo un istante questa morta gora. / E mi ti affacci qual tremula stella..."
E un'altra: " Stella del mare, che il tuo mite raggio / volgi sopra l'orror della bufera..."
Questi erano forse i momenti in cui la nostra anima più si elevava, e il bellissimo quadro dell'Immacolata che avevamo in cappella ispirava in noi alti e nobili sentimenti d'amore, esaltando la Vergine come
la donna più pura e grande della storia umana.
Nessun commento:
Posta un commento